Il sostegno delle istituzioni nazionali e comunitarie a favore dei programmi di promozione e informazione dei prodotti agricoli è attuato da diversi anni e ha avuto un certo successo in Italia, con molti progetti approvati e finanziati, ma anche con diverse opportunità non colte. Attualmente, questa fonte di finanziamento rappresenta una delle poche occasioni per le imprese, in particolare quelle piccole che fanno qualità, di essere sostenute nei processi di internazionalizzazione che garantiscono un valore nettamente superiore rispetto al mercato interno. Diventa quindi fondamentale la capacità di intercettare gli aiuti alla promozione che arrivano da diverse misure a cui oggi si aggiungono sostanzialmente tre fonti: la nuova politica di promozione europea del Regolamento 1144, l’OCM Vino e il recente Piano Olivicolo nazionale.

Il nuovo regime della promozione europea, sancito con il regolamento n. 1144/2014, porta in dote circa 110 milioni di euro per il 2016 destinati a campagne di informazione e di promozione dei prodotti agroalimentari e vitivinicoli da realizzare nel mercato interno e in quello dei Paesi terzi, con particolare riferimento ai regimi di qualità. Si tratta di risorse derivanti dal regolamento varato dalla Commissione europea operativo dal primo dicembre che prevede una crescita progressiva negli anni della dotazione delle campagne d’informazione e promozione, fino ad arrivare ai 200 milioni di euro previsti per il 2019. A differenza di quello vigente fino al 2015, il nuovo regime di aiuto considera prioritari gli interventi realizzati sui mercati dei Paesi terzi.

L’OCM vino è la misura che concede finanziamenti ai produttori vitivinicoli e in Italia opera con bandi annuali emessi dal Ministero per le politiche agricole e da ogni Regione/Provincia autonoma. Con l’approvazione dell’OCM vino da parte della Conferenza Stato Regioni di pochi giorni fa, si mettono a disposizione 300 milioni in 3 anni per azioni di comunicazione e promozione da attuare in Paesi terzi (relazioni, pubblicità, fiere, campagne informative su DOP, IGP e biologico).

Infine l’approvazione del Piano Olivicolo nazionale prevede misure che mirano all’incremento della produzione italiana di olive e di olio extravergine, alla promozione e valorizzazione dei prodotti made in Italy, al recupero varietale delle cultivar e all’aggregazione degli operatori per un’organizzazione più forte della filiera nazionale. A disposizione ci sono 32 milioni di euro, per un Piano che può essere supportato con fondi regionali dello sviluppo rurale per il rilancio del settore olivicolo oleario.

Tutti questi provvedimenti offrono risorse che per essere intercettate necessitano di progettazioni complesse, che spesso mettono in grave difficoltà le PMI e i consorzi. Nel caso dei fondi europei, la competizione con le grandi agenzie, come la francese Sopexa, è impietosa e i finanziamenti se ne vanno altrove. Sono necessarie strutture di sostegno alle imprese stesse che si occupino sia di consulenza strategica che di supporto operativo, riducendo i costi e permettendo allo stesso tempo l’approccio alle fonti di finanziamento e ai mercati evoluti.

Se non riusciamo a costruire un sistema in grado di fare offrire supporto continueremo a perdere occasioni importanti che in parte ci spettano e che possono incidere in maniera significativa sulla sopravvivenza del nostro sistema agroalimentare di qualità. Su questo piano qualcosa in più per aiutare i nostri agricoltori avrebbero potuto fare e potranno fare le organizzazioni di settore, che in questo momento storico devono riuscire a trovare una sintesi su obiettivi e pratiche condivise. Il ruolo di servizio che hanno l’onore e l’onere di svolgere deve adeguarsi alle esigenze delle aziende molto più rapidamente di quanto è successo in passato, fornendo risposte efficaci ad un settore che non può fare a meno di nessuna risorsa. Il rischio concreto che corre il nostro Paese è che senza un adeguato aiuto le piccole imprese, soprattutto al Sud, finiscano per perdere l’ultimo treno della ripresa. Forse impegnarsi per mettere insieme una filiera a scrivere veri piani strategici di sviluppo potrebbe essere più utile che scendere in piazza a portare le bandiere.

Mauro Rosati
Direttore generale Fondazione Qualivita