A distanza di un paio di settimane dalle elezioni europee abbiamo assistito a molte discussioni sulle poltrone e a poche proposte per progettare il futuro dell’Europa. Il premier inglese Cameron ha addirittura minacciato l’uscita dall’Unione nel caso in cui il lussemburghese Juncker diventi presidente della Commissione. Renzi, in controtendenza, mi pare abbia portato il dibattito nella direzione giusta, sfiorando temi – come l’abuso di burocrazia – che incidono sulle esigenze degli europei.

 

Di sicuro rimane forte la necessità di ‘cambiare marcia’, di offrire una visione dell’Europa che permetta di modificare la linea politica così come quella economica e sociale. E l’Italia, nel fornire il proprio contributo, dovrebbe proprio incominciare dalle politiche agricole, settore in cui ha capacità riconosciute a tutti i livelli.

 

Partendo dai fatti, è bene ricordare che l’intervento per l’agricoltura e lo sviluppo rurale assorbe quasi il 40% del budget comunitario, restando ancora oggi la linea d’azione finanziariamente più importante dell’Ue. L’ammontare complessivo di risorse per il periodo della PAC 2014-2020 sarà pari a circa 420 mld di euro.

Una politica complessa che incide molto nell’ambito economico dei paesi membri, interessando direttamente o indirettamente tutto il sistema agroalimentare, compresa l’industria di trasformazione, che oggi rappresenta il primo asset manifatturiero europeo per fatturato e coinvolge oltre 30 milioni di addetti. 

Il ‘vecchio continente’ rimane il più importante attore nel panorama agroalimentare mondiale e continua ad aver il mercato del cibo più grande del mondo. Nel corso degli anni, inoltre, la politica agricola è divenuta una vera e propria politica territoriale, che impatta sull’80% del territorio europeo classificato come rurale.

 

Questi numeri si riflettono anche sul peso assunto dai servizi afferenti l’agricoltura in seno all’apparato burocratico europeo. I servizi operativi di riferimento, identificati nella Direzione Generale agricoltura, comprendono circa 1.000 dipendenti. Solo le Direzioni generali per il commercio, per lo sviluppo e la cooperazione, e per la ricerca e innovazione, che possiamo considerare come trasversali a tutte le altre, hanno più dipendenti.

 

Questi elementi delineano il valore politico e strategico  delle politiche agricole a livello comunitario e invitano ad incidere in quegli ambiti che per adesso hanno funzionato a fasi alterne.

 

In un primo macro-ambito sono attese le promesse di incremento di efficacia produttiva del sistema agricolo. Sarà necessario mantenere gli impegni presi con la PAC, sostenendo uno sviluppo razionale della produzione che utilizzi in maniera ottimale tutti i fattori. Per fare un esempio, l’introduzione della programmazione produttiva sui prosciutti a denominazione di origine dovrà fare sì che i produttori si allineino a tutta la filiera per una pianificazione di quantità e qualità, utile alla conquista di nuovi mercati. Dal canto suo, il nostro Paese dovrà imboccare senza timori la strada della qualità, integrandola con la capacità di fare sistema.

 

Sempre nell’ambito della produttività agricola, l’Ue dovrà farsi carico di promuovere il progresso tecnologico, sia per quanto riguarda ricerca e innovazione, sia per tutto ciò che è legato alle ‘politiche agricole digitali’ che, sintetizzando, possiamo definire come attività coerenti e articolate di tutela, promozione e commercio elettronico delle nostre produzioni di qualità nel mondo web. Se l’Europa cerca una crescita sostenibile e una strada per risolvere i problemi strutturali deve puntare su tutti gli elementi innovativi che questo settore ha espresso.

 

In un secondomacro-ambito l’Europa ha il dovere di considerare le ricadute delle politiche agricole sul sociale. Da un parte, dovrà lavorare per raggiungere standard di vita più equi per gli agricoltori e per stabilizzare i mercati affinché sia garantita la disponibilità di risorse a prezzi congrui per i consumatori. Dall’altra, uno dei compiti che l’organismo sovranazionale si dovrà assumere riguarda il sostegno, sia normativo che economico, a quelle iniziative che dal basso stanno cambiando alcuni aspetti del ‘fare agricoltura’. Guardando alle esperienze italiane vale la pena di citare le pratiche agricole urbane delle ‘smart cities’ come gli orti urbani, i GAS, il ritorno al km0, ma anche i tentativi di mettere in un sistema sinergico il grande patrimonio agroalimentare e le bellezze turistiche.  

 

Per l’Italia, e per molti paesi membri, l’affermarsi di un nuovo percorso delle politiche agricole sarà straordinariamente importante perché i sistemi agricoli e agroindustriali contribuiscono in maniera sostanziale alla formazione del PIL e alla coesione territoriale. L’Expo di Milano, incentrata sul tema del cibo, consentirà di giocare un ruolo fondamentale alla nuova Commissione Ue, che non potrà permettersi di buttare via un’occasione importante per costruire una saldatura tra l’istituzione europea e i sui cittadini.