Alla ricerca di un modello alimentare alternativo più sicuro e meno costoso in tempi di austerità

La crisi finanziaria di questi ultimi anni si presta ad essere uno specchio anche  della crisi del sistema alimentare globale, di cui sentiamo parlare solo a momenti. Entrambi i settori si sono evoluti negli ultimi decenni da sistemi prevalentemente locali e nazionali a globalmente integrati. Se nella finanza i risparmiatori sono l’anello debole della catena, anche nel mondo dell’alimentazione il consumatore è il soggetto più a rischio. Di fatto si sono sviluppate catene di valore così allungate e disaggregate che il destinatario finale del prodotto finisce spesso per risultare scollegato da chi lo produce su cui sono caricati tutti i costi ed i rischi.
Le debolezze del settore alimentare sono ormai evidenti. I nuovi casi di epidemie alimentari ci ricordano che queste non sono diminuite e nemmeno le varie malattie legate al cibo, dall’obesità alla malnutrizione. Dati recenti dell’Istituto Auxologico di Milano affermano che in Italia sono 20 milioni coloro che hanno problemi di peso, e circa 1 miliardo nel mondo.
Se oltre alla salute si considera anche la catena del valore dell’attuale sistema alimentare, si nota che  mentre 10 grandi multinazionali controllano oltre il 25% del mercato dei prodotti alimentari confezionati, la maggior parte degli agricoltori di tutto il mondo soffre una scarsa remunerazione.
Considerando che il mondo alimentare come quello della finanza sono settori tanto instabili quanto vulnerabili, una revisione delle regole generali ed un modello diverso sarebbero le priorità da perseguire. Il  dibattito su ciò che mangiamo non dovrebbe limitarsi solo al dualismo tra il “km 0” e le multinazionali del food, ma aprirsi verso una terza via, che prenda spunto dalle esperienze più positive che si sono realizzate in questi anni; i consorzi, le denominazioni di origine, i sistemi di qualità europei, che sostengono il modello delle Indicazioni Geografiche, sono diventati nella maggioranza dei casi, sinonimo di sicurezza, stabilità e sostenibilità. Se negli ultimi tempi abbiamo a fatica digerito i titoli spazzatura che il mondo della finanza globale ha prodotto, non credo che si possa chiedere ai consumatori di correre il rischio di digerire anche il cibo spazzatura.

 

La sostenibile leggerezza di un calice di vino
Inizia la vendemmia ed il dibattito sul vino si accende; tema di questi giorni è la gradazione alcolica del vino. Per molti esperti non ci sono dubbi: il futuro è dei vini a bassa gradazione alcolica. Vuoi per motivi salutistici, vuoi per la paura dell’etilometro, i vini cosiddetti “leggeri” sembrano incontrare i favori dei consumatori e quindi l’attenzione dei produttori. In esatta controtendenza con gli anni passati quando imperversò la moda dei vini potenti, muscolari, addirittura ipertrofici e fecero il loro ingresso in cantina i famigerati concentratori. Il problema quindi sarebbe quello di dealcolizzare vini che negli anni, sia a causa del cambiamento climatico che per via delle pratiche di vigna e di cantina, hanno enfatizzato il loro carico alcolico. Va inoltre ricordato come l’Unione Europea, attraverso la nuova Ocm-vino, consenta la dealcolizzazione fino a un massimo del 2%.  Il rischio però, secondo alcuni tecnici, è quello di snaturare il vino rispetto all’uva d’origine. Ma altri tecnici fanno notare come il global warm e il desiderio di creare etichette da competizione abbiano già di fatto, nelle ultime decadi, determinato una sorta di tradimento del modello base e che vini nati per essere freschi e leggeri abbiano finito con il diventare potenti e concentrati. Difficile dire chi ha ragione: facile immaginare che alla fine, come sempre, sarà il mercato a orientare le scelte. Con la speranza che il mondo del vino italiano sappia intuire per tempo la direzione del vento.

 

Il Prosciutto di Parma piace all’estero

Boom in Australia, Gran Bretagna Belgio e Francia per il Prosciutto di Parma DOP preaffettato. Nonostante le continue azioni di agropirateria contro il made in Italy , una delle eccellenze agroalimentari più rappresentative del nostro Paese riesce a conquistare consumatori d’oltreoceano. La crescita delle vendite per la sola Australia è pari al 400% mentre gli USA si confermano come primo bacino delle esportazioni.

 

La cantina Ruffino in mani straniere
Il mondo del vino possiede un innegabile appeal e notevoli volumi d’affari sulla carta. Normale quindi che potenti gruppi stranieri rivolgano la loro attenzione a storiche cantine italiane, come la Constellation Brand che ha rilevato dai Folonari la proprietà Ruffino. Ma spesso i grandi gruppi finanziari impiegano poco a scoprire che il vino richiede troppo tempo, pazienza e passione. Si pensi agli esempi di Bolla e Tenuta dell’Ornellaia, tornati in mani nostrane dopo un rapido tour in Wall Street.

  
PARLA COME MANGI: cos’è l’agropirateria

Si intende quel fenomeno di contraffazione dei prodotti agroalimentari, soprattutto quelli a denominazione d’origine in quanto dotati di maggiore appeal e notorietà. Alla base della contraffazione c’è lo sfruttamento della reputazione e rinomanza del prodotto. Un esempio di Agropirateria è l’italian sounding cioè la presenza sull’etichetta di nomi italiani, bandiera tricolore, monumenti, parole e simboli che evocano in qualche modo l’Italia, senza che il prodotto sia italiano.