Tira aria buona nel comparto agroalimentare di qualità, sebbene i tanti indicatori economici e politici italiani continuino a dare segnali non positivi. A testimoniarlo arriva l’11° Rapporto Qualivita-Ismea 2013 sulle produzioni agroalimentari italiane DOP IGP STG. Questa indagine, che presenta l’analisi e l’interpretazione dei più significativi fenomeni socio-economici del comparto della qualità alimentare certificata, fa emergere molti dati con il segno “più”. 

 

Un volume prodotto pari a 1,3 milioni di tonnellate, di cui il 32% esportato per un valore pari a circa 2,5 miliardi di euro con un aumento del 4,6%; un fatturato alla produzione di circa 7 miliardi di euro e al consumo di circa di 12,6 miliardi di euro.  L’Italia rimane leader mondiale del comparto per numero di produzioni certificate, con 261 prodotti iscritti nel registro Ue, di cui 158 DOP, 101 IGP, 2 STG. In buona sostanza, il comparto delle DOP e IGP ha continuato nel 2012 il suo trend crescente, con il sostanziale consolidamento dei volumi certificati per le produzioni più importanti e una buona crescita sui piani del fatturato al consumo e alla produzione. Notevole il caso del Grana Padano DOP che fa registrare 1,79 mld di euro di fatturato alla produzione che è il primo prodotto al mondo certificato.

 

Le riflessioni che possiamo fare sui i dati e le analisi di questa indagine sulle produzioni agroalimentari di qualità sono molteplici, ma si intravedono punti nevralgici ben definiti, nel bene e nel male.

 

La prima, di carattere generale, riguarda il valore delle produzioni agroalimentari di qualità. In un momento di profonda recessione, se non di ridefinizione del sistema Paese, questo comparto diventa sempre più importante per l’economia nazionale; non solo per i prodotti e i relativi fatturati, ma anche per le professionalità che questo sa esprimere e l’organizzazione che si è dato. Infatti mentre assistiamo al dissolversi di molte aziende importanti che rappresentavano dei veri e propri asset strategici del Paese, l’agricoltura di qualità porta dei risultati tangibili: crescita del fatturato, del numero delle aziende, dell’export. Un beneficio che non si è ferma solo alle imprese del settore, ma che ha un effetto traino sulle molteplici attività collegate nei distretti degli areali di produzione degli alimenti a denominazione di origine: turismo, ristorazione, artigianato, eventi e cultura.

 

Un’ulteriore riflessione sulle indicazioni geografiche riguarda l’uso improprio delle denominazioni d’origine. L’indicazione geografica è diventati in questo scorcio di nuovo millennio un forte brand valoriale per qualsiasi prodotto di largo consumo. Si sta assistendo giorno dopo giorno ad un fenomeno di cannibalizzazione e usurpazione delle identità locali, soprattutto nel commercio dei prodotti alimentari, dove tutto viene “venduto” come tipico e locale. Una scelta di marketing pericolosa che può innescare un doppio effetto negativo, sia sulle aziende produttrici di prodotti a DO, che sul consumatore, ingannato da indicazioni che con la qualità non hanno nessun un legame. Questa dinamica può provocare una spirale recessiva all’interno della quale le aziende non hanno più l’interesse a certificare i prodotti e i consumatori ad acquistarli. 

 

Un’ultima considerazione prende spunto dal il settore della Pasta Alimentare dove l’Italia, famosa e conosciuta nel mondo, non aveva fino al 2013 nessuna registrazione. Con il riconoscimento della Pasta di Gragnano IGP e Maccheroncini di Campofilone IGP,  si presenta una grande occasione per l’intero comparto italiano della pasta. Da questo momento si aprono nuove prospettive perché concentrare l’attenzione di tutto il settore sulla qualità delle nostre farine, dei nostri saperi artigianali, delle nostre filiere territoriali può essere una chiave di successo per la maggior parte delle aziende, soprattutto per quelle medio-piccole che finora erano state nell’ombra dei grandi brand privati.

 

Facendo una riflessione ancora più approfondita è tangibile ormai che i circa 750 marchi italiani delle Indicazione Geografiche del settore agroalimentare e vitivinicolo rappresentano un vero “tesoro” nazionale. Un valore, difficile da stimare, ma che sicuramente ha effetti positivi su ampi settori del sistema economico tale da rappresentare un vero e proprio patrimonio pubblico come i beni culturali.  Per questo motivo sarebbe giusto ripensare a come rendere ancora più performante il settore; ad esempio attraverso una tassazione diversa alle aziende che producono qualità sostenibile ed una contribuzione che permetta ai consorzi di svilupparsi soprattutto per affronatare i mercati internazionali. 

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