Sfogliando un qualsiasi giornale, navigando in internet o guardando la tv, il cibo è sempre più frequentemente in primo piano. Molto più che in passato, nella comunicazione odierna veniamo investiti da innumerevoli informazioni attinenti all’alimentazione, che spaziano dalle diete miracolose fino alle improbabili ricerche sugli effetti benefici di questo o quell’altro prodotto, spesso in contraddizione l’una con l’altra. L’educazione alimentare, questa sconosciuta.

 

Oggi i protagonisti sono i mass media, con i loro limiti e il loro potenziale. Sono limiti i messaggi troppo generici, la mancanza di comunicazione interpersonale, la ricerca dei titoli ad effetto, la scellerata pubblicazione di diete senza criterio firmate da sedicenti esperti. Sarebbero vantaggi la possibilità di raggiungere un pubblico ampio e diversificato, se solo ci fossero credibilità delle fonti e completezza delle argomentazioni. Ma su questo si inseriscono gli spazi pubblicitari, che sono garanzia di sopravvivenza per giornali, siti web ed emittenti televisive e radiofoniche, e si lanciano segnali diversi o distorti, con prevalenza di pubblicità di alimenti ad alta densità calorica, basata sulle emozioni e sulle suggestioni, piuttosto che sulle evidenze.

 

Per uscire da questa empasse, bisogna agire sui giovani, sulle loro famiglie, raggiungendoli dove si formano, ovvero nella scuola, nelle associazioni che frequentano, negli spazi dove si ritrovano. Non è una tematica nuova, non siamo i primi a parlarne. Ma, nonostante le nostre tradizioni, nonostante l’altissimo numero di prodotti certificati DOP e IGP che ci vede leader in Europa, nonostante la possibilità di acquistare prodotti freschi (date le dimensioni e la struttura della maggior parte dei nostri centri abitati), forse ci stiamo muovendo in ritardo.

 

L’educazione alimentare nelle scuole è una tematica in dibattito in Europa e negli altri paesi, come gli Stati Uniti, già dalla fine degli anni Novanta. Tante esperienze, mille progetti che oggi devono concretizzarsi perché le spese per la salute potrebbero essere contenute educando a una sana e corretta alimentazione, oltre al fatto che, se vogliamo proteggere l’ambiente, è necessario che si consumi e si produca avendo ben presenti i criteri di sostenibilità a 360 gradi. La FAO sostiene che basterebbe la conoscenza di un regime alimentare corretto per ridurre  l’impronta ecologica della produzione del cibo.

 

Prima erano le famiglie a raccontare le  stagioni attraverso i prodotti e ad insegnare il rispetto nei confronti del cibo. La trasmissione di questa conoscenza oggi è invece affidata al caso, o forse al web. Di tale lacuna non si è mai fatto carico nessuno. Scomparsi i  nonni con  il loro sapere contadino, il cibo è  diventato negli anni terreno di conquista per marketing e pubblicità. Perché abbiamo aspettato tanto, perché ci dobbiamo ritrovare  a pochi mesi dall’Expo per parlarne? In Inghilterra, nel 1988, l’Education Act introdusse un National curriculum (piano di studi) nelle scuole dell’obbligo dai 5 ai 16 anni, che prevedeva l’insegnamento dell’educazione alimentare attraverso materie diverse.

 

In Francia, dal 2000, esiste un Programma Nazionale Nutrizione e Salute (PNNS) e un Piano Nazionale Alimentazione (PNA). In America, nel 1998, nello stato di NY fu introdotta  la cucina in classe, per avvicinare i ragazzi al gusto per prodotti integrali e verdura, ed educarli alla scelta degli alimenti sulla base dell’impatto sulle risorse ambientali (scelte alimentari sostenibili), con Michelle Obama che oggi è la migliore testimonial di tutto questo.

 

In Italia, sia per l’imminenza di Expo che per il cambio di governo, qualcosa si sta muovendo. La proposta del Ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina è stata prontamente raccolta dal Ministro  dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini, che ha dichiarato: “Se il cibo è cultura, allora è giusto insegnare ai ragazzi come mangiare bene. E l’Expo, dedicata all’alimentazione, sarà l’occasione giusta per inserire questa nuova materia nei piani scolastici”.


Per essere efficaci ed incidere veramente in un ambito che rappresenta una parte importante del nostro futuro è necessario muoversi subito, senza esitazioni e senza perdere di vista il fatto che il problema riguarda tutto il Paese, in termini culturali, salutari ed economici. Perché, come ci ricorda la FAO, il miglioramento della conoscenza dei regimi alimentari nel medio periodo migliora anche il bilancio di uno stato.