Cina ed Europa stanno iniziando a dialogare in fatto di produzioni agroalimentari. Il recente accordo fra Dacian Ciolos, commissario Ue all’agricoltura e Sun Dawei, vice-ministro per la qualità cinese, apre la strada al riconoscimento da parte del Governo di Pechino di 10 tra DOP ed IGP europee.  Al contempo la UE si impegna a riconoscere altrettanti prodotti Made in China. Si profilano pertanto per le aziende europee canali interessanti sicuramente dal punto di vista commerciale; inoltre l’accordo Cina-UE può garantire un percorso di tutela diverso all’interno dell’ancora inesplorato mondo alimentare asiatico. Ma l’aspetto sicuramente più interessante di tutta la vicenda é il modo con cui sono stati raggiunti questi risultati politici; le aperture europee ai Paesi terzi con il regolamento 509 e 510 – chieste in sede di WTO, per permettere un più agevole percorso sul riconoscimento mondiale delle IG, ancora molto lontano da chiudersi – hanno di fatto innescato un meccanismo di “reciprocità”. Ovvero: io riconosco i tuoi prodotti attribuendogli un valore se rispettano certi standard, apro loro il mio mercato e conseguentemente tu riconosci i miei e gli riservi pari trattamento. Questo dunque il meccanismo che sta alla base della reciprocità, una bella parola che porta la politica in una direzione meno conflittuale del solito. Termine che, in tema di riconoscimenti internazionali, significa anche un impegno preciso ed un lavoro costante della politica. Il concetto di reciprocità può rappresentare inoltre un’idea da sfruttare altrove, soprattutto in quei mercati più maturi della Cina, come l’America, il Brasile e l’India, che per essere affrontati dalle imprese europee ed italiane del settore agroalimentare hanno bisogno di una certezza normativa e soprattutto l’abbattimento di vincoli ed ostacoli sul fronte delle  doganale. In un mondo che si divide, la reciprocità alimentare è comunque un piccolo segnale positivo che, in controtendenza, unisce.