È tornato prepotentemente alla ribalta il tema dell’origine del cibo che ogni giorno arriva sulla nostra tavola. A causa dell’allarme della diossina tedesca, infatti, i media e di conseguenza l’opinione pubblica stanno dimostrando un crescente e rinnovato bisogno di conoscere la provenienza e la composizione degli alimenti che si acquistano. Ogni volta che accadono cose di questo tipo, l’ondata di sdegno e preoccupazione è forte ma gli effetti durano veramente poco. Sfumate le copertine dei giornali, i consumatori continuano il loro tram tram giornaliero: ovvero riprendiamo a mangiare in modo “inconsapevole”, senza porsi tante domande.
Il problema invece è serio. Casi di allarme in materia di sicurezza alimentare sono sempre di più all’ordine del giorno e le motivazioni sono solo di tipo economico. Per dirla con semplicità: sempre più popolazione vuole il proprio frigorifero pieno; la crisi economica internazionale impone alle industrie di utilizzare materie prime di scarso valore; i terreni coltivabili iniziano a scarseggiare. Tutto questo si traduce in una modifica delle pratiche agricole ormai totalmente condizionate da un’accelerazione dei cicli produttivi, dal ricorso alla chimica, agli OGM e la trasformazione impiega quasi esclusivamente di mezzi artificiali a sostituzione dei normali processi naturali.
Non so fino a dove potremo spingerci. Un dato è certo: le grandi industrie alimentari e agroindustriali non si stanno facendo troppi scrupoli. I loro sonni sono molto più tranquilli dei nostri. E pensare che per cambiare le cose basterebbe solo mangiare tutti un po’ meno e soprattutto non affollare la nostra dispensa con alimenti inutili messi in commercio solo per fare fatturato.

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