Il Rapporto 2009 dell’Osservatorio Socio-Economico Qualivita mostra dati interessanti: l’Italia prima in Europa, la Toscana quarta fra le regioni italiane, per prodotti di qualità tutelati da marchi. Ma l’aspetto su cui vorrei focalizzare l’attenzione degli addetti al settore e non solo è il dato riferito all’export delle produzioni agroalimentari, ovvero quel “misero” 14% che dimostra come le nostre eccellenze facciano ancora fatica a mettere piede fuori dall’Italia. Se pensiamo al gran parlare, alla ritrovata leadership italiana nella cucina a livello mondiale, allora viene spontaneo chiedersi come mai non riusciamo ancora a cogliere queste infinite opportunità che il mercato internazionale ci offre. Il settore è forte, lo si evince anche dal valore complessivo attorno ai 5,3 miliardi di euro, grazie soprattutto al mercato interno e alla grande distribuzione. E’ forte anche perché le quasi 100.000 aziende che ne fanno parte rappresentano un modello che ha saputo reggere l’urto della crisi attraverso la dedizione alla qualità. Non è questo il momento di crogiolarsi sugli allori. Il primato italiano non è in discussione, le vere leadership però sono quelle che riescono ad occupare i mercati e soprattutto riescono a dimostrare che la forza persuasiva del made in Italy non è solo icona ma anche sostanza. E la sostanza di cui parliamo è quella di portare ovunque il vero prodotto italiano a scapito di quell’odioso italian sounding che ogni giorno occupa mercati, scaffali e ricette. Ci vuole marketing, perché un buon prodotto da solo non si vende; le cartoline sbiadite dell’Italia che ogni tanto portiamo in giro per il mondo, sono ormai un mezzo che ha fatto il suo tempo.

rosati @qualivita.it