Più volte mi è capitato di dire che l’agricoltura è il settore su cui dobbiamo puntare se vogliamo risolvere gran parte dei nostri problemi economici, ambientali o sociali. La potenza intrinseca che hanno l’agricoltura, i prodotti di qualità e la tradizione enogastronomia non sono paragonabili a nessun altro settore italiano. Potere è la capacità di influenzare il comportamento degli altri per ottenere i risultati che vogliamo. Nel linguaggio politico ed economico, con la globalizzazione, si sono affermate due definizioni di derivazione anglosassone che definiscono due diversi aspetti del potere: Soft Power e Hard Power. Due visioni ben distinte. Soft Power è la capacità di modellare le preferenze degli altri, tramite risorse intangibili quali cultura e valori, piuttosto che per coercizione o compensi in denaro come nel Hard Power. Ma cosa c’entra tutto questo con il cibo? In questi anni, nonostante la poca inclinazione che il settore agroalimentare ha dimostrato di avere nell’export, ovvero di essere presente nei mercati internazionali più importanti, la nostra rilevanza nel mondo del food ed in particolare sull’enogastronomia, è costantemente cresciuta; abbiamo superato i francesi, arrivando ai massimi livelli; ne sono esempio le cucine degli alberghi di tutto il mondo che vantano chef italiani, le grandi distribuzioni che inseriscono negli assortimenti i nostri prodotti, il fenomeno delle catene cresciute a suon di pizza e di spaghetti, e così potremmo continuare. Bisogna riconoscerlo, siamo stati bravi, grazie alla nostra creatività e all’ impegno; abbiamo persuaso e convinto a livello internazionale; questo fenomeno si potrebbe chiamare il Soft Power dell’agroalimentare italiano. Oppure, semplicemente qualità.

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