Tra pochi giorni festeggeremo il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Un secolo e mezzo fatto di storia e tradizione che ha visto consolidarsi l’identità nazionale di un popolo in grado di preservare un bagaglio di saperi locali ben amalgamati in una cultura unitaria. Tra le risorse primarie dell’economia italiana c’è senza dubbio il patrimonio agroalimentare, fatto di piccole e grandi realtà che insieme costituiscono il “Made in Italy”, oggi invidiatoci da tutto il mondo. Tante cucine locali, dunque, tanti vini, tanti cibi sono diventati famosi non solo per le loro qualità intrinseche, ma anche perché hanno spesso sintetizzato bene le peculiarità di un territorio così “estroverso”, così vasto ed intriso di culture ed esperienze. Tutto ciò riesce a riassumersi quasi magicamente nella parola Italia. Una “summa” che ha come risultato finale una produzione qualitativamente superiore al resto del mondo. D’altronde la storia italiana è ricca di anedotti che legano fatti e personaggi ai prodotti agroalimentari nazionali: durante la firma dell’armistizio a Palermo, nel 1860, si narra ad esempio che Garibaldi mangiasse un’arancia, frutto tipico siciliano; Giuseppe Verdi invece era un amante del Culatello, mentre il musicista Gioacchino Rossini era solito gustare il Prosciutto di Parma. E come non ricordare il curioso episodio di cui fu protagonista il re Vittorio Emanuele che, passando per Altamura, fu letteralmente rapito dal profumo di pane che si percepiva nell’aria. Piccole note di colore queste, che dimostrano quanto il patrimonio agroalimentare nazionale, da sempre votato ad una logica di qualità più che di quantità, sia strettamente connesso con la storia e sia diventano parte integrante della carta d’identità dell’Italia attuale. Ed anche per questo il 17 marzo possiamo, anzi dobbiamo, festeggiare l’Unità nazionale.

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