Negli ultimi mesi ho avuto molto a che fare con il Giappone. Insieme al Ministero delle politiche agricole italiano abbiamo dato un supporto al Ministero giapponese per la  realizzazione di un nuovo codice legislativo per la tutela e la promozione dell’agricoltura di qualità e dei prodotti tipici locali. È  stato un lavoro inteso con uno scambio di idee e di esperienze molto forti attraverso un dialogo diretto con i funzionari del governo nipponico e con i produttori locali. Ho conosciuto da vicino non solo i cibi del Sol Levante, le loro tradizioni alimentari, ma anche  gli agricoltori, gli artigiani che in questi anni sono riusciti a “salvare”, la parola è proprio quella giusta salvare, un patrimonio gastronomico immenso. Un’impresa, alla luce dei fatti di oggi e non solo, che dovremmo definire eroica. In un Giappone proiettato e concentrato nell’elettronica e nel nucleare, pensare di fare gli agricoltori e già di per se una follia. Farlo con la convinzione di tutelare una tradizione ed un territorio, non so come definirlo. In questi momenti mi ritornano in mente i produttori del Pomodoro di Nangō nella prefettura di Fukushima, quelli del Miso di Sendai nella prefettura Myagi e tanti altri  con cui mi sono scambiato di frequente informazioni, attraverso la mia collaboratrice giapponese Mika. C’era nei loro pensieri, nelle loro parole  un comune denominatore: riuscire a dare al Giappone un immagine diversa da quella che oggi purtroppo vediamo. L’affermazione di un’agricoltura con un corretto rapporto con l’ambiente e l’esaltazione della tradizione come elemento di vera modernità era per loro una missione esemplare.

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