La pizza, recentemente candidata ad essere riconosciuta patrimonio Unesco, rischia di perdere uno degli ingredienti base, il pomodoro italiano. Sì perché la filiera del pomodoro, che storicamente rappresenta una delle eccellenze del nostro Paese dal punto di vista economico e sociale oltre che simbolico, sta affrontando, soprattutto al sud, una crisi di mercato e di identità.

 

Nel settore dei pomodori l’Italia è ​leader in Europa e terza al mondo, ​con ​una produzione di ​5,5 milioni di tonnellate di ​pomodori da industria​ che ​rappresenta​no​​ ​​​il 12% del volume ​mondiale e il 55% di quello della UE. Un sistema ​da 3 miliardi di euro ​che dà lavoro a 8mila produttori agricoli​ e​ 10mila addetti nella fase industriale, impegna oltre 110 industrie e 54 organizzazioni di produttori. Non mancano le produzioni certificate di qualità ​ (Pomodoro di Pachino IGP, Pomodoro S. Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino DOP e Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP​)​: ​più di 9.000 tonnellate ​certificate​ nel 2014, per un fatturato al consumo ​di oltre 30 milioni di euro.

 

Al valore di questo settore, fanno però da contrappunto diverse criticità: da tempo il pomodoro è uno dei prodotti più contraffatti e imitati, mentre è invece storia recente il difficile momento di due delle più importanti filiere di qualità del nostro Paese.​

 

Il Pomodoro di Pachino IGP, che in Sicilia vale un quarto dell’intero comparto​ ortofrutticolo​ DOP IGP ​regionale da oltre 20 milioni di euro alla produzione, è colpito da una forte crisi di mercato e ha urgente bisogno di trovare una reazione dopo l’ultima campagna in cui si è registrato un vero e proprio crollo delle vendite.
Il S. Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino DOP, che in Campania rappresenta il 15% di un sistema ortofrutticolo certificato ​da 14 milioni di euro​ alla produzione​, affronta una questione particolarmente complessa legata alla tutela: diversi operatori, infatti, vorrebbero affiancare al disciplinare esistente per il DOP pelato un disciplinare di produzione per l’analogo prodotto fresco. Ma non sarà semplice, perché recentemente l’Unione europea ha registrato delle nuove varietà che contengono la dicitura San Marzano, fatto che – come ha sostenuto il commissario all’agricoltura UE Phil Hogan – permette la coltivazione e l’uso di tale dicitura sul territorio europeo. “Nessuno può rivendicare in alcun modo l’origine italiana già a legislazione vigente – ha ricordato il Ministro Martina – ma per una protezione completa del prodotto fresco dell’area DOP del San Marzano occorrerebbe mettere mano a modifiche del Regolamento 1169/2011, che disciplina l’etichettatura dei prodotti alimentari”.

 

Due casi che riaccendono i riflettori sul periodo di difficoltà dell’intera filiera. Da un lato un problema di mercato su cui incide molto l’invasione dei prodotti marocchini e spagnoli che, sebbene qualitativamente inferiori al nostro, riescono a controllare quantitativi maggiori e qualità costante. Dall’altro lato c’è la mancanza di una filiera nazionale compiuta in grado di accrescere la propria competitività e stare sui mercati globali con i consueti standard elevati.

 

Sul piano delle criticità dei mercati, il Ministro Maurizio Martina si è già mosso nei confronti della Commissione Europea richiedendo, in primis, l’aumento dei prezzi di ritiro dei pomodori da mensa con una differenziazione per tipologia che guardi alle caratteristiche peculiari delle produzioni italiane e, in secondo luogo, l’attivazione della clausola di salvaguardia prevista nell’accordo tra UE e Marocco, in considerazione dell’aumento di oltre il 70% delle importazioni di pomodori marocchini tra fine dicembre e inizio gennaio.

 

Sul fronte dei nostri produttori è invece necessario un cambio di passo che da un lato rinnovi l’impegno a puntare sulla qualità – unica alternativa ai prodotti commodity degli altri paesi -, e dall’altro superi la polverizzazione della filiera, scommettendo su aggregazione e organizzazione. La frammentazione del sistema imprenditoriale soprattutto al sud, ci rende infatti strutturalmente più deboli, soprattutto nei settori ortofrutticoli, dove spesso i prezzi non coprono i costi di produzione.

 

Se sul piano delle risposte europee – spesso impantanate nelle paludi di interessi contrapposti – ci sarà da attendere, sul fronte interno possiamo agire fin da subito dato che abbiamo tutte le carte in regola per consolidare una leadership qualitativa e organizzativa.