ItaliaOggi – Cina: l’insalata è un problema economico. Il Ministero del Commercio e quello dell’agricoltura stanno in questi giorni prendendo alcune misure per aiutare gli agricoltori cinesi a fronteggiare una sovrapproduzione di vegetali che sta causando un crollo dei prezzi. Se da un lato, questo ha permesso un controllo dell’inflazione, dall’altro ha creato problemi di sussistenza ai coltivatori che molto spesso preferiscono distruggere le verdure prodotte nel nord del paese – o le lasciano marcire direttamente nei campi. Vegetali che non trovano sbocco in un mercato saturato dalle verdure provenienti dal sud. Il «caso insalata» riguarda anche l’inflazione. In Cina il cibo pesa per 1/3 dei beni del paniere che si usano per calcolare l’indice nazionale dei prezzi al consumo per cui la politica sta cercando di evitare l’esplosione dei prezzi. E già i primi effetti si sono fatti sentire: l’inflazione nel marzo scorso ha toccato un picco del 5,4% che non si registrava da 32 mesi. Un bel problema, perché prezzo del cibo e costo della vita cittadina nell’ex Celeste Impero sono fortemente legati. E infine tutto questo si ripercuote sugli agricoltori. Un circolo vizioso da spezzare: ma, paradossalmente, i prezzi restano ancora alti solo nelle città, tanto che i cavoli sono venduti a 2 yuan al kg (20 centesimi di euro), dieci volte il prezzo che i coltivatori possono chiedere nelle campagne. Ad alimentare la morsa dell’inflazione sono soprattutto i trasporti: l’82% delle autostrade a pedaggio sono in Cina e i pedaggi pesano dal 50 al 10% del costo della logistica nazionale. La logistica pesa per 2/3 del prezzo totale delle verdure e secondo Xinhua (agenzia stampa del governo cinese) – il costo della logistica costituisce il 21,3% del PIL, contro il 10% dell’Occidente. Trasportare 1 kg di prodotto costa da 6 a 8 yuan, mentre spedirlo per via aerea a New York solo 1,5. L’unica ricetta proposta dalle autorità cinesi, per il momento? Incentivare il consumo di verdure da parte della popolazione.