I produttori italiani sono ai blocchi di partenza. Anzi, qualcuno ha già iniziato le operazioni di raccolta. E, come sempre, si iniziano a dare i numeri. Crollo produttivo della Spagna, con un 40% in meno rispetto all’annata precedente. L’Italia, almeno secondo le prime stime, dovrebbe avere un decremento stimabile tra il 5 e il 10%. “Anche per questo nel settore c’è un’attesa positiva – spiega Silvano Ferri, presidente Federdop – Le previsioni di scarsa produzione in Spagna e in tutti quei Paesi che in passato erano presenti sui mercati a prezzi bassissimi e con enormi produzioni, lasciano sperare in prezzi più remunerativi per le produzioni italiane”. Un leggero ottimismo, ma non è ancora il caso di intonare peana di gioia.

 

“A oggi sono ancora troppe le variabili che impediscono di dare cifre realmente attendibili – avverte Massimo Gargano, presidente Unaprol – Noi abbiamo un osservatorio di monitoraggio capillare su circa 8.000 aziende, elaboriamo i dati con Ismea ma non usciamo adesso con le analisi. Credo comunque che, a causa delle alte temperature, gli oli potranno essere meno aromatici, ma saranno molto ricchi di antiossidanti”. Le piogge di questi giorni stanno facendo ingrossare le olive, mentre al sud, dove si pratica olivicoltura da reddito, la carenza di piogge è stata compensata dall’irrigazione. Le previsioni spesso nascondono interessi diversi. “Come Unaprol siamo sempre molto cauti – aggiunge Massimo Gargano – ma un fenomeno degli ultimi anni da tenere sotto controllo è la masterizzazione degli oli da parte degli industriali”.

 

Già, perché nonostante il Belpaese venga universalmente riconosciuto come leader per quello che concerne la qualità dell’extravergine, in Italia si consumano parecchie bottiglie di prodotto di livello, per usare un eufemismo, non elevatissimo. Secondo alcuni il motivo risiederebbe nel fatto che la richiesta supera di gran lunga l’offerta; in pratica l’extravergine prodotto in Italia riuscirebbe a soddisfare meno dei due terzi del consumo interno. Insomma, lungo la penisola si contano 225 milioni di piante di ulivo, su una superficie complessiva che supera il milione di ettari, si producono 5 milioni di quintali di olio… e non ci basta? Sembrerebbe di no, dal momento che ogni italiano consuma oltre 14 chili di olio l’anno. Ma allora perché i produttori piangono miseria e i frantoi chiudono (in poche stagioni sono oltre 1.000 quelli che hanno cessato l’attività)? Per vittimismo o autolesionismo? E perché non si decidono a fare più extravergine, visto che c’è tanta richiesta?

 

“Produrre olio extravergine di qualità ha dei costi altissimi e il mercato non premia questa scelta – spiega Marco Oreggia, autore di Flos Olei, l’unica guida internazionale sull’extravergine – In questi anni è mancata una politica seria sotto tutti i punti di vista. Si sarebbe dovuto favorire la conoscenza dell’extravergine di qualità, per aumentarne l’appeal. Ma, soprattutto, rendere più severe le normative, spesso ambigue. Colpire con durezza chi froda, agevolare il lavoro di chi punta all’eccellenza. Fortunatamente c’è ancora tempo per rimediare e non abbandonare a se stesso un prodotto che rappresenta uno dei tesori del Made in Italy”.

 

“Se non continuiamo sulla strada già avviata dei controlli a tappeto su tutte quelle produzioni a basso prezzo che vengono spesso esposte nei supermercati con etichette ambigue – commenta Franco Bardi vice presidente del Consorzio IGP Olio Toscano – il problema della produzione olivicola italiana rimarrà sempre lo stesso : troppi uliveti abbandonati e tanti che rinunciano alle produzioni di oli extravergine certificati. Le forze dell’ordine stanno facendo un grande lavoro, ma il fenomeno delle contraffazioni è molto ampio”.

 

C’è ancora tempo, ma non tantissimo: secondo recenti studi, sembra che nel settore manchi un reale cambio generazionale, molti sono gli olivicoltori over 60. E si sta perdendo traccia anche di quella manodopera specializzata fondamentale per mantenere alti gli standard qualitativi. E mentre tutti invocano questa benedetta qualità, noi rischiamo di perdere un’occasione d’oro… anzi, d’olio. Quella di produrre di più, sfruttando il nostro straordinario patrimonio varietale (oltre 700 cultivar spalmate sull’intero territorio) e presentarci sui mercati internazionali con una massa critica che potrebbe renderci oltremodo competitivi. Se qualcuno se la sente, è questo il momento di battere un colpo.