Due giorni fa la versione digitale del New York Times ha pubblicato una serie di vignette su quelle che sarebbero le presunte truffe nella produzione di olio di oliva extravergine “made in Italy”. Le vignette, tanto efficaci quanto imprecise e fuori misura, accusavano di adulterazione tutta la produzione oleria italiana così come la classe politica, indicata come collusa con questo sistema fraudolento.

 

Al di là delle vignette il problema dell’Olio Extravergine di qualità esiste e viene da lontano.  A testimoniarlo non è l’interpretazione del redattore della testata Statunitense, ma i dati di settore. Il crollo dell’export dell’ultimo anno si attesta ad un -9% (-13%in Usa)  ed è spesso legato alla diffusione di truffe e contraffazioni. Ma non è l’unico indicatore negativo, si lega infatti ad un calo di produzione e ad un abbassamento del prezzi che rischia di affossare tutto il comparto.

 

“Il problema viene da lontano – testimonia Massimo Gargano, Presidente di Unaprol –  e sicuramente ha avuto un punto di svolta nei primi anni Novanta, quando, la classe politica di allora ha deciso di mettere fine alla partecipazione pubblica nel sistema agroalimentare con la vendita delle principali aziende di settore de gruppo Sme-Iri. Da quel momento il nostro Paese ha progressivamente perso la capacità di costruire un polo agroalimentare capace di competere con i grandi gruppi industriali sui mercati mondiali”.  Molte di quelle imprese – Italgel (Motta), Cirio, Bertolli, Autogrill – furono vendute ad imprenditori che non seppero costruire un vero e proprio percorso di successo. Da lì in poi la miopia politica ha percorso di pari passo quella del sistema imprenditoriale agroalimentare.

 

A parte una piccola parte di illuminati, infatti, gli imprenditori italiani hanno dimostrato di non credere nell’extravergine italiano. A testimonianza di questo ci sono due fatti : il primo è  la svendita dei marchi storici – Carapelli, Sasso, ecc-  ai grandi gruppi spagnoli  mentre il secondo è l’ottusità di aver voluto affrontare la concorrenza internazionale attraverso le politiche di prezzo piuttosto che affidarsi alla riconosciuta distintività delle nostre produzioni. Così, “marchi storici italiani – continua Gargano – sono diventati nel giro di pochi anni portatori di casi di Italian Sounding, rischiando di compromettere la credibilità di tutti”.

 

Anche tra gli agricoltori non c’è stata grande capacità di cogliere la sfida, non c’è stata la volontà di destinare investimenti significativi per tutelare e promuovere produzioni di qualità che necessitavano di una gestione coerente e continuata per competere sui mercati internazionali. In altri settori, come quello del vino o dell’aceto balsamico, questo è successo. E si vede.

 

Nel frattempo le istituzioni politiche italiane hanno lasciato il vero olio senza difese, senza tutela. Penso alle tante battaglie perse in sede europea sin dagli anni ‘90, dove non si è riusciti a difendere in maniera efficace, da interessi lobbistici,  qualità e origine della produzione che avrebbero dovuto necessariamente rappresentare gli elementi di differenziazione di uno dei maggiori settori economici del sistema paese. Tutti ricordiamo l’ottusità europea sul tema delle etichette dove era vietato per il principio della concorrenza scrivere “Made in”. Anche se poi a partire dagli anni 2000 qualcosa è cambiato. Lo sviluppo dei prodotti DOP ha portato una nuova consapevolezza nelle sedi di Bruxelles.

 

L’Italia è un paese legato a doppio filo, da sempre, all’immagine mediterranea dell’olivo e dell’olio, il fatto di aver lasciato svilire questi simboli fa pensare ad un problema ancora molto più profondo; siamo stati incapaci sia di tutelare il nostro patrimonio che di creare un percorso imprenditoriale serio.

 

Per arginare questa deriva occorre da una parte che il sistema politico agisca immediatamente, senza proclami, ma con strategie  di lungo termine che abbiano anche in sede europea un riscontro tangibile. Dall’altra gli imprenditori italiani sono chiamati a costruire un modello basato sui reali elementi di differenziazione del nostro prodotto. La strada della qualità, della tipicità territoriale è, probabilmente, l’unica via percorribile come ci conferma lo stesso Gargano. Se qualcuno pensa che con qualche comunicato stampa si possa risolvere il problema, non ha capito gran che.