Cadono le stelle. Non perché siamo quasi a mezza estate e stiamo assistendo al fenomeno astrale atteso ogni anno in questo periodo ma perché i ristoranti stellati stanno chiudendo, o hanno già chiuso. L’assurdo è che capita proprio mentre cresce la notorietà televisiva degli chef, amplificata dal proliferare di trasmissioni dedicate al cibo. Il fenomeno è molto esteso e tocca il gotha della ristorazione non solo in Italia, ma anche in Francia e in Spagna. È forse iniziata la fine di quell’epoca fatta di raffinatissima e ardita sperimentazione, con cui la cucina italiana piuttosto che spagnola ha primeggiato su media e guide, conquistando il pubblico in questi ultimi anni? Secondo un’indagine JFC, che si occupa di consulenza e marketing turistico, il 2012 è stato un anno estremamente difficile, in cui il 61% dei ristoranti stellati ha visto scendere il giro d’affari, e le previsioni più pessimistiche stimano che il 15% degli stessi chiuderà entro la fine dell’anno. Stessa rilevazione da Enzo Vizzari dell’Espresso, che recensisce circa 2700 realtà della ristorazione al top: solo nel biennio 2011-2012 hanno chiuso più ristoranti presenti nella sua Guida che negli ultimi dieci anni messi insieme. Saranno circa 50 le attività che chiuderanno i battenti nel 2013. Ma come analizzare e far fronte a questo fenomeno? Le tendenze in atto sono tante ma la principale è la riduzione del numero delle preparazioni nei menù, anche per effetto dei tagli al personale; si registra un ritorno alla concretezza, con la fine delle miniporzioni, della cucina molecolare con i suoi colori stravaganti e dei piatti decorati come opere d’arte. Cresce il rapporto con il territorio nella ricerca dei prodotti e nella costruzione dei menù che diventano vetrine della cultura gastronomica locale. Quindi filiera corta, ricerca dell’eccellenza qualitativa come fil rouge di un’offerta più semplice nelle preparazioni e più concentrata sulla valorizzazione delle materie prime. Dove ricercare l’origine di questo fenomeno? Certo, le ridotte disponibilità economiche di tutti sono alla base del problema; oggi spendere molto in cibo non è socialmente approvato, viviamo perennemente a dieta. Anche la legge anti alcool ha ridotto drasticamente il consumo di vino e quindi nessuno si vergogna piu ad ordinare un calice al posto della bottiglia; la conseguenza sono consumi di vino e superalcolici quasi azzerati. “Questa è la fotografia della realtà italiana – aggiunge Enzo Vizzari, raffinato conoscitore del mondo enogastronomico – essere un bravissimo chef, fantasioso e creativo, non vuol dire automaticamente essere un bravo imprenditore. Così i ristoranti chiudono gravati da spese sottovalutate, da cantine sovradimensionate che gli chef non sanno gestire. Un buon imprenditore, si ferma molto prima di immobilizzare troppi capitali in una cantina che non funziona e deve essere in grado di consigliare il cliente verso scelte che può soddisfare, non dipendere dalle richieste dei clienti e affondare nelle etichette di ogni tipo”.
Quindi se i ristoranti stellati chiudono è anche perché non c’è stato un raccordo con le mutate esigenze dei clienti, e volendo leggerla in altro modo, non sono certo le stelle, o le forchette piuttosto che i cappelli, a salvare la gestione di un ristorante. A fronte di enormi costi del personale, della materia prima, le tasse, gli affitti, le imponenti cantine, gli chef stellati o chiudono o stanno cambiando strategia. I gestori corrono ai ripari: menu scontati, riduzioni due per uno, voucher di Groupon e come ultima tendenza, le serate con ospiti chef famosi sia italiani che stranieri, che hanno chiuso le loro attività troppo onerose e si riciclano come testimonial di altri ristoranti. Il paradosso è che oggi la TV racconta una realtà che non esiste piú. "Forse non si tratta di paradosso ma di espiazione pura – commenta Francesca Riganati del Gambero Rosso – Gli chef si pentono degli estremismi culinari, dei ristoranti ingessati e degli show televisivi. Da qui, a mio parere, l’esigenza di un ritorno alla solidità della ristorazione semplice, familiare, una cucina di cuore per riempire più il loro senso di vuoto che i nostri stomaci”. Sarebbe sensato che oggi tutti facessero una sana autocritica: la cucina gourmet è stata il frutto di quell’Italia sbandata che comprava più di quello che realmente si poteva permettere e che ci ha portato ad essere un Paese enormemente indebitato. La famosa epoca della "Milano da bere". Ora non basta ad uno chef, per riciclarsi, far finta di adottare un contadino in TV e decantare la terra. Ci sono giovani cuochi che propongono una nuova cucina italiana; ci sono nuovi consumatori ma soprattutto c’è una nuova Italia gastronomica e non solo. Sarebbe tempo che anche la TV se ne accorgesse invece di presentarci personaggi e format che non esistono più nella realtà.

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