In un periodo in cui l’economia italiana stenta a ripartire c’è un settore che non conosce crisi, anzi, è in netta crescita: si tratta del cibo di strada, meglio noto come street food. Quella del mangiare in strada è una cultura che affonda le radici nell’Antica Roma, quando i romani erano soliti trascorrere fuori casa tutta la giornata e rifocillarsi ai mercati della capitale, e che, sopravvissuta nel corso dei secoli, oggi interessa all’inacirca 2,5 miliardi di persone al mondo, che, secondo stime diffuse dalla FAO, ogni giorno scelgono di consumare un pasto veloce piuttosto che al ristorante.

 

È evidente che, pur partendo dalle stesse radici storiche, lo street food si sia sviluppato in maniera diversa all’interno dei vari continenti. In Europa e America del nord, nato come cibo povero delle classi contadine e operaie, ha pian piano assunto connotazioni gourmet, tradizionaliste o modaiole. Nei paesi in via di sviluppo, e in quelli al limite della povertà che comprendono alcune aree dell’Asia, dell’Africa e del Sud, il cibo di strada rappresenta la risposta all’emergenza sociale di cibo a basso prezzo, oltre che un’importante fonte di reddito per i piccoli produttori e gli ambulanti.

 

I NUOVI FATTORI DEL BOOM

In Italia il cibo di strada è cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi cinque anni, trasformandosi in un fenomeno di successo grazie anche all’influenza del boom statunitense dei truck, piccoli mezzi mobili, spesso di design, capaci di occupare gli spazi urbani ad un costo molto minore dei classici ristoranti. Secondo le stime del 2014, ad oggi, nel settore della gastronomia di strada in Italia sono coinvolte oltre 60.000 attività, che si sono attestate su un tasso di crescita annuo del 15% circa. Se i ristoranti storici chiudono, i Food truck e gli Ape Car aprono: delle 60.000 attività ‘di strada’ oltre 8.500 sono mobili, con una crescita annua del 10%. Questi nuovi mezzi mobili sono, involontariamente, diventanti il simbolo di una reazione ‘dal basso’ alla crisi economica nel settore ristorazione.

 

Alla base di questo successo che in Italia vede coinvolti 570.000 utenti vi è in primis l’economicità del mangiare in strada: sono infatti oltre molti i lavoratori costretti a pranzare ogni giorno fuori casa che hanno abbandonato il pasto completo al ristorante e si sono convertiti al cibo di strada; accanto ai lavoratori ci sono poi i giovani, per cui lo street food è di tendenza, oltre che economico. Tra le nuove generazioni assume un aspetto sociale di aggregazione, fungendo da collante per costruire relazioni e condividere passioni. Nel 2015 sono oltre 50 festival a tema, ambientati in città metropolitane così come in piccoli borghi e castelli, capaci di convogliare migliaia di persone e riqualificare zone cittadine come il mercato storico di San Lorenzo a Firenze.

 

Nuova è anche la classe imprenditoriale che gravita intorno a questo settore; composta da giovani e più o meno giovani che, spinti dalla crisi economica, hanno trasformato la passione per la cucina in un vero e proprio lavoro. Questa generazione ha portato ai fornelli non solo la buona cucina del proprio territorio, ma anche la genialità e l’innovazione che si riflettono nelle ricette, nel packaging e nell’uso dei social media come strumento virale di contatto e coinvolgimento.

 

Il successo street food – ha commentato Stefano Marras – Research Associate Università Bicocca di Milanofa ben sperare se si analizzano gli effetti positivi generati su due livelli: a livello ‘politico’ le amministrazioni stanno incentivando le attività per rilanciare l’economia territoriale e a livello gastronomico il food truck gourmet sta producendo un innalzamento della qualità e un ampliamento varietà dei cibi.

 

LA QUALITÀ PAGA SEMPRE

In Italia una storia di successo che parli di cibo non può prescindere da quello che è da secoli l’ingrediente fondamentale: la materia prima di qualità. Se è vero che la cucina italiana è nata nelle strade, il cibo di strada made in Italy rappresenta un ritorno alle origini, un viaggio lungo i sapori più o meno nascosti della penisola, che rivivono nelle ricette della tradizione, talvolta presidio di territori dimenticati. Un filo rosso accompagna molte delle migliori esperienze di cibo di strada, un filo che lega insieme eccellenze DOP IGP, prodotti biologici e a Km 0, tutti simboli di una cucina radicata in valori che faranno sempre la differenza.

 

Dal panino con il lampredotto fiorentino alla pizza a libretto napoletana, passando per l’arancina palermitana, la gastronomia di strada è un mosaico di sapori da scoprire, una miniera d’oro dalla quale poter attingere per valorizzare il Bel Paese e far ripartire un pezzo di economia. In alcuni casi le nostre filiere agroalimentari sono riuscite ad intercettare questa opportunità. Tra questi sono significativi le storie della Piadina Romagnola e della Focaccia di Recco che da pochi mesi hanno ottenuto il riconoscimento di Indicazione Geografica Protetta (IGP) dall’Europa, garantendosi la certificazione della qualità e maggiori possibilità nell’export internazionale.

 

Ma, in questo contesto sarebbe importante riuscire ad inserire in maniera organizzata almeno tre delle filiere che contraddistinguono la nostra agricoltura; quella cerealicola legata alla produzione di birre artigianali, una produzione che si sposa da sempre con il mangiare di strada e che nel nostro paese sta vivendo una nuova primavera; quella zootecnica di qualità, in cui l’Italia ha molte eccellenze straordinarie come celebrato dai casi degli hamburger con carne Chianina IGP; infine quella del Biologico, che va incontro alla necessità di un alimentazione sana e naturale e che nelle street food può trovare un canale privilegiato per avvicinarsi ai giovani. Ma la ristorazione di strada potrebbe essere un’ottima opportunità anche per i P.A.T., i prodotti agroalimentari tradizionali, che, selezionati dalle regioni e riconosciuti a livello nazionale, non sono mai riusciti ad avere né la visibilità che meritano né un vero e proprio spazio di mercato.

 

UN NUOVO QUADRO NORMATIVO

I requisiti per il successo ci sono tutti, ma sono necessari ancora alcuni sforzi. Adesso è il momento di strutturare un settore che ha vissuto un efficace boom iniziale lontano dalle regole, ma che ora ha bisogno di nuove linee guida per affermarsi in pianta stabile come nuovo settore della ristorazione italiana. È necessaria per esempio, una riforma della legislazione che riguarda la qualità del cibo. Da un lato, per supportare gli ‘street chef’ che utilizzano materia prima italiana di qualità, e dall’altro, per dare più sicurezza al consumatore su quello che si trova a mangiare.

 

È necessario, altro esempio, un quadro di norme che regolino l’esercizio del commercio su suolo pubblico. Attualmente la situazione è frammentata a livello degli enti locali e solo due casi ci indicano una buona via. Quello del comune di Milano, che ha aperto in via sperimentale le porte del centro storico a 50 Ape Car, e quello del comune di Torino, dove lo storico mercato dell’abbigliamento di Porta Palazzo è stato trasformato in polo dello street food. Come succede in ogni periodo di cambiamento radicale bisogna agire in fretta, ammesso che non si voglia disperdere l’onda di un successo come quello dello street food.