E’ tempo di olio. Nelle campagne di tutta Italia è in corso la raccolta delle olive e i frantoi hanno già iniziato la frangitura e c’è  fermento, perché l’emozione e la voglia di assaggiare un po’ di olio “novo” è ancora presente in tante presone, anche nei giovani. Sembra un fatto quasi  straordinario, ma il richiamo verso quel sapore di olio appena spremuto è sempre forte. Soprattutto quest’anno in cui ricorre  il cinquantesimo anniversario dall’ entrata in vigore della legge 1407 del novembre 1960, che istituì la categoria merceologica “Olio Extra Vergine di Oliva”. Sembrerebbe all’apparenza tutto perfetto. Invece il settore olivicolo è sempre più in crisi, come del resto un po’ tutta l’agricoltura italiana. La prima causa  va ricercata nella concorrenza straniera, che può mettere sul mercato “olio” che ha alla base  costi di manodopera che sono un decimo di quello prodotto in Italia; l’altro punto debole è la concorrenza sleale, che si consuma soprattutto nei Paesi terzi, attraverso produzioni che hanno etichette ingannevoli con nomi italiani, ma che non contengono neanche un’ oliva proveniente dal nostro Paese. La spina dorsale del comparto olivicolo italiano è composta di 800 mila imprese di   piccole  e medie dimensioni che in questi anni sono riuscite a mantenere alta la bandiera della qualità dell’olio italiano, mentre le grandi multinazionali, soprattutto spagnole, acquisendo brand di casa nostra, hanno messo in commercio  prodotti di scarsa qualità, come ci racconta Marco Oreggia che cura una delle più importanti guide mondiali sugli oli extravergine, rovinando il mercato. Il paradosso è che oggi si rischia di perdere proprio quel pezzo di agricoltura italiana che  ha investito sull’olio, sia in termini di qualità del prodotto sia in termini ambientali. Molte piccole aziende, infatti,  hanno deciso persino di non raccogliere le olive. E con una produzione che è prevista in calo del 20%, anche a causa di problemi fitosanitari e  climatici e della poca considerazione da parte del sistema bancario, il rischio è che quel sapore di olio “novo”  tutto italiano si perda nella notte dei tempi.