Gli ultimi dati indicano che nel nostro Paese l’’impatto economico del settore turistico nel 2014 è pari a 162,7 miliardi di euro ed ha un’incidenza sul PIL del 10,1% con una ricaduta occupazionale del 11,4%. Un parte rilevante di questo valore è mosso proprio dal cibo. Infatti, la tipicità di un prodotto agroalimentare rappresenta ormai un fattore centrale di attrazione turistica dei vari territori, come dimostrano le ultime ricerche di Coldiretti secondo le quali due turisti su tre motivano il loro viaggio in Italia attraverso ragioni ‘gastronomiche’.

 

Nell’immaginario collettivo il patrimonio materiale e immateriale che ha dato vita alle eccellenze ad Indicazione Geografica come il Grana Padano DOP, il Parmigiano Reggiano DOP o il Chianti è ormai associato, come merita, alla distintività di una determinata zona, accendendo il desiderio di un’esperienza reale di luoghi e bellezze, culinarie e paesaggistiche.

 

Il prodotto della terra ha adesso trovato nella società il giusto humus per diventare medium di un mondo, di una cultura, di valori e identità da esplorare fisicamente nel viaggio. Sicuramente fra le attrattive gastronomiche del nostro Paese il settore dell’enoturismo la fa da padrone con 6 milioni di visitatori e 3 miliardi di euro di giro di affari legati alle eccellenze dei nostri terroir.

 

Le Strade del vino
A partire dagli anni Novanta un primo approccio per coniugare in maniera articolata l’esperienza turistica di un territorio con il mondo delle produzioni agroalimentari e vitivinicole è stato quello messo in atto con diversi strumenti dalle associazioni Movimento Turismo del Vino, Città del Vino e dalle Regioni. Da questi tentativi sono nate le basi per una legge nazionale finalizzata alla regolamentazione di uno strumento di gestione per l’enoturismo. Fu per questo motivo che nel 1999 venne approvata una legge nazionale per la normazione delle Strade del vino che, a distanza di circa 17 anni da quella data, possiamo dire non ha portato i benefici che si auspicavano. Secondo le ultime ricerche del Censis, in Italia esistono oltre 150 Strade del vino, che interessano circa 1.450 comuni, oltre 400 denominazioni e 3.300 aziende agricole. C’è da sottolineare, d’altra parte, che la maggior parte di queste risulta non operativa e una quota consistente (30%) ancora in fase di avviamento: si stima infatti che il potenziale di sviluppo economico e organizzativo ancora da sfruttare da parte delle Strade del vino sia notevole, nell’ordine dell’80%.

 

Si può a ben ragione parlare di uno strumento di organizzazione e sviluppo del turismo enogastronomico che presenta aspetti positivi, ma che nella maggior parte dei casi non sembra essere riuscito ad affermarsi in maniera efficace e impattante sul territorio. Basti pensare cosa sono le esperienze analoghe in altri Paesi, come quella di Napa Valley in California, con milioni di visitatori e un giro d’affari milionario. Un progetto nato negli anni Settanta grazie all’idea di Robert Mondavi e poi via via ampliato grazie ad un’offerta turistica molto variegata che ha allungato di molto la permanenza del turista a beneficio di tutta la regione. Quella italiana invece è un’esperienza che ha fatto breccia, ma che nel tempo ha perso la sua spinta propositiva e catalizzante e che è adesso in attesa di un’evoluzione che la porti ad essere driver di successo di un distretto.

 

Nuove sinergie
Per sviluppare un’offerta che faccia davvero la differenza occorre costruire nuove relazioni tra tutti i soggetti imprenditoriali e istituzionali di un’area. Deve essere stravolta la prospettiva con cui guardare al modello di sviluppo territoriale partendo dal concetto di distretto rurale di qualità. Tale distretto è un sistema che contraddistingue e promuove l’identità di un territorio e della popolazione che lo abita interessando una serie di ambiti (turismo, agricoltura, artigianato, commercio, ambiente, cultura e formazione) che richiedono una programmazione comune per lo sviluppo e la valorizzazione del sistema territoriale nella sua interezza.

 

Alcune esperienze come il format nazionale “Cantine aperte” o quello della Regione Umbria “Frantoi aperti” hanno rappresentato non solo dei casi di successo, ma anche uno stimolo per le imprese e le istituzioni. L’esperienza umbra, gestita dalla Strada dell’olio, ha significato un mutamento strutturale per tante piccole aziende olivicole. Mutuando le ben più rodate cantine vitivinicole, queste in pochi anni sono state in grado di proporre un’offerta più coerente con i bisogni dei visitatori, come un vero servizio di accoglienza e informazione su standard elevati e prodotti di alto valore e qualità; si è quindi assistito ad una metamorfosi aziendale basata sul concetto di multifunzionalità. Frantoi e aziende si sono trasformati in fattorie didattiche, shop con prodotti di cosmesi, punti ristoro con degustazioni e centri di attività turistica-esperienziale, come la raccolta delle olive o il pic nic fra gli olivi in fiore.

 

Una prospettiva affascinate quanto concreta l’ha fornita Donatella Cinelli Colombini, imprenditrice vitivinicola toscana di successo ed esperta del turismo del vino. “Per provare a costruire un nuovo modello di sviluppo territoriale basato sul concetto dei distretti rurali di qualità, potremmo prendere i primi 15-20 distretti italiani in termini di potenziale enogastronomico, creare un format con caratteristiche ben definite e comunicabili e dargli la giusta visibilità in termini di marketing e comunicazione, curando al meglio anche i circuiti internazionali. Costruendo correttamente questo processo, i territori di valore sarebbero in grado di offrire percorsi esperienziali personalizzabili, andando incontro alle esigenze dei consumatori”.

 

Non c’è dubbio che occorre prendere quello che di buono è stato fatto in questi anni da istituzioni e imprese per pensare di affinare una strategia più efficacie che consenta di dare sviluppo al turismo enogastronomico ed in generale a tutto quello rurale. Occasione importante potrebbero essere gli Stati generali sul turismo sostenibile che si svolgeranno il prossimo aprile a Pietrarsa. In quell’occasione sarebbe auspicabile un’intesa programmatica fra Ministero dei beni culturali, il Ministero delle politiche agricole e le Regioni per definire una linea condivisa di azione che possa intervenire su due ambiti ben precisi: il primo è il co-marketing fra patrimonio artistico – musei, siti archeologici, ecc. – e i prodotti agroalimentari del territorio; il secondo quello di una gestione del turismo enogastronomico attraverso strumenti più efficaci che superino le Strade del vino, come i distretti rurali di qualità, che possono mettere insieme non solo cantine e fattorie, ma tutte le attività artigianali espressioni di quel territorio.

 

In questa ottica il coinvolgimento delle Regioni potrebbe determinare anche orientamenti condivisi dei rispettivi PSR verso un’azione sistematica per le aziende che vogliono investire seriamente in una politica di accoglienza all’interno dei nuovi distretti rurali. E poi non c’è dubbio che bisognerebbe rimettere mano alla comunicazione enogastronomica del nostro Paese per attrarre meglio i turisti, perché sfogliare le pagine web del sito www.italia.it nella sezione Mangiare e Bere – già il nome la dice lunga – non è una bella esperienza.

 

Mauro Rosati
Direttore Generale Fondazione Qualivita