È in arrivo Expo 2015, che rappresenterà una visione globale del mondo dell’alimentazione, coinvolgendo agricoltura, ambiente, enogastronomia. Un insieme di idee e progetti che servirà a determinare quello che mangeremo nei prossimi decenni. Dentro a questa nuova idea del cibo coabitano diversi soggetti e modalità: si va dai piccoli produttori dei paesi in via di sviluppo alla grande industria alimentare globale, passando per lo street food gourmet e per quello dei paesi più poveri delle periferie del mondo. Quello che mangiamo è una fotografia complessa, un mosaico sempre difficile da comporre, dove ogni attore ha un ruolo e nessuno è il protagonista assoluto. Basti pensare come la grande ‘potenza’ delle industrie alimentari sia sempre messa in discussione da piccoli gruppi antagonisti che la contrastano per le presunte scorrettezze ambientali o per il tema del Junk food. Non c’è un dominatore assoluto nel mercato e della cultura del cibo. Siamo sempre alla ricerca di un equilibrio. E questo sforzo ne determina, a suo modo, il progresso. L’idea vincente di Expo sta proprio nel ribadire che il problema alimentare si risolve insieme perché non c’è un soggetto, grande o piccolo, che possa risolverlo da solo. In Italia, tuttavia, con Expo si sono accentuati gli aspetti contrari. Invece di lavorare con maggiore coralità, ognuno, a suo modo, sta cercando una vetrina personale, fornendo un’immagine del Made in Italy polverizzata, senza un’azione di sistema. Più che ad un protagonismo del cibo italiano, stiamo assistendo ad uno show dei singoli personaggi. Questo atteggiamento messo in atto da chef, imprenditori e organizzazioni rischia di essere un boomerang potente per la cultura enogastronomica ed agroalimentare del nostro paese, che ha bisogno di vedersi riconoscere per quello che è: la summa di tante esperienze e di tante fatiche. Mi sembra ingiusto e dannoso che pochi soggetti si vogliano prendere i meriti costruiti da migliaia di persone nell’arco di decenni se non di secoli. Per fare un esempio, i prodotti a denominazione di origine italiani, tanto conosciuti nel mondo, esistono solo perché un insieme di attori ha deciso di farli esistere ed è proprio per questo che in Italia la cultura del marchio geografico ha sempre vinto sul brand privato. Basti pensare che cosa significhino prodotti come il Parmigiano Reggiano Dop o il Grana Padano Dop. Allo stesso modo la cucina, così come ce l’hanno raccontata da Artusi in poi, è un insieme delle grandi tradizioni regionali e non un prodotto di, pur grandi, singoli soggetti. All’Esposizione universale abbiamo il compito di presentare i prodotti della nostra terra, della nostra agricoltura, e per farlo è necessario che i personaggi ambiziosi di una grande vetrina facciano un passo indietro pensando al bene del paese. La forza del Made in Italy, è bene ribadirlo, è l’insieme e non il singolo.