Che gli Usa siano ancora un campo vergine da “coltivare” per il Made in Italy lo dimostrano i tanti prodotti italian sounding che straripano nei supermaket americani; gli ultimi rilevamenti dicono che nella grande distribuzione americana solo un prodotto su otto è veramente italiano. Un mercato che deve ancora essere esplorato appieno dall’Italia ma anche dal resto dell’Europa perché, nonostante gli sforzi, il saldo della bilancia commerciale del settore agroalimentare fra vecchio e nuovo continente è di soli 6 miliardi di attivo; il 30% di questa cifra è "merito" dell’esportazioni di settore del nostro Paese, valore che, se pensiamo bene, è enorme.
Per spiegarla con il pensiero di Oscar Farinetti, “il falso non si combatte con gli slogan ma portando i prodotti veri dove stanno quelli falsi"; si può intuire quindi la necessità e l’importanza strategica che rivestono per il nostro Paese gli accordi commerciale fra Europa e resto del mondo, in primis quello con l’America.
Per dimostrare come gli accordi siano un ‘opportunità per l’Italia, basta ricordare che la crescita del nostro settore primario si deve innanzitutto alla realizzazione del mercato comune europeo, dove la parità delle regole ha permesso ai nostri prodotti e al nostro know-how alimentare di svilupparsi in una logica qualitativa senza concorrenti nel mondo, superando così l’antagonista di sempre, ovvero la Francia. Proprio per questi motivi, di fronte alla globalizzazione dei prodotti alimentari dobbiamo avere sicuramente un approccio più positivo, pur con la consapevolezza che le tematiche che regolano gli scambi commerciali sono sempre complesse, come dimostrano i grandi fallimenti del WTO proprio nel portare avanti i trattati ‘agricoli’.
Dopo le imponenti manifestazioni di Berlino e Bruxelles, che mettono in guardia l’Unione europea proprio sul tema della ratifica del trattato commerciale più importante, il TTIP, è d’obbligo fare alcune considerazioni perchè in questi casi la sindrome del nymby sarebbe per l’economia Italiana molto lesiva.
I TRATTATI COMMERCIALI
Dopo l’approvazione Tpp (Trans-Pacific Partnership), il patto commerciale tra gli Usa e altri undici paesi del Pacifico, ora entra nel vivo la trattativa sul Ttip, altro tassello strategico nel quadro globale degli scambi. Le difficoltà sono tante per arrivare ad una definitiva ratifica di questo trattato ed il nulla di fatto dell’ 11esimo round di incontri tenutosi a Miami qualche settimana fa dimostra che la strada è tutt’altro che facile, considerando anche il clima di diffidenza che si respira in Europa.
Dal punto di vista agroalimentare la portata del Ttip è molto rilevante, non solo per il peso economico ma anche in funzione degli standard qualitativi e della contraffazione. Questi temi sono una cartina di tornasole delle divergenze socio-culturali che ad oggi dividono le due sponde dell’atlantico. Ogm e riconoscimento delle Indicazioni Geografiche DOP IGP, rappresentano in estrema sintesi i veri motivi di scontro sul capitolo agricoltura.
LA NECESSITÀ DI AGIRE
“Dopo la firma del Tpp, i rischi che possiamo correre sono di due tipologie – ha dichiarato Paolo de Castro, Coordinatore S&D presso la Commissione agricoltura del Parlamento europeo. I paesi ad alto reddito procapite come il Giappone – con cui la Commissione sta negoziando un trattato di libero scambio – saranno con ogni probabilità meno disposti ad aperture nei confronti dei nostri prodotti perché molte concessioni sono già state fatte ad Australia, Usa, Canada e Nuova Zelanda. Un pericolo ancora più grave riguarda poi la capacità di preservare un modello di sviluppo europeo e gli standard di produzione sui quali lavoriamo da anni e di cui andiamo orgogliosi”. Col Tpp in vigore, e senza il Ttip, i grandi produttori di commodities guadagneranno quote di mercato globale, mentre i produttori di qualità europei saranno costretti a rincorrere. E questo soprattutto perché l’accordo Trans-Pacifico è anche un grande foro in cui verranno definiti gli standard commerciali. Il rischio per l’Europa è quindi quello di dover sottostare agli standard stabiliti nel patto tra Stati Uniti e paesi del Pacifico, nettamente inferiori a quelli in vigore dentro i confini dell’Unione che come stabilito dal Rapporto Lange, approvato a larga maggioranza dal Parlamento europeo, rimangono una priorità per la Ue.
LE GRANDI OPPORTUNITÀ
Una prima dimostrazione delle possibilità di sviluppo riguarda il fatto che gli Stati Uniti, che amano e chiedono sempre più le nostre eccellenze, possono diventare un mercato dalle pressoché infinite opportunità. Anche la lotta all’italian sounding è possibile solo attraverso un’informazione trasparente che metta il consumatore statunitense nelle condizioni di poter distinguere, e quindi scegliere, un prodotto di chiara e comprovata origine italiana da uno che ne evoca il nome, le caratteristiche o ne riporta sulla confezione la bandiera. Una chance che soltanto un buon esito del negoziato attualmente in corso può rendere reale. Per questo motivo è importante fare passi in avanti come quello compiuto all’Assemblea mondiale delle Indicazioni Geografiche, organizzata dal Ministero delle politiche agricole a Expo, con l’apertura del confronto tra l’Associazione italiana delle Indicazioni Geografiche e il Consortium for Common Food Names, un consorzio USA con ruolo primario nel Ttip schierato a difesa dei prodotti generici.
“Un altro aspetto cruciale – continua De Castro – che in caso di accordo avvicinerebbe molto USA e UE, è quello delle barriere non tariffarie, cioè di tutti quegli impedimenti di carattere sanitario che impediscono una parte importante delle esportazioni. Ridurre la distanza o, in alcuni grandi comparti, arrivare al riconoscimento del fatto che i nostri sistemi di qualità certificata garantiscono il consumatore USA almeno quanto i loro sarebbe significativo per la crescita degli scambi commerciali.” Infine il tema tariffario, dove l’obiettivo della costruzione di un grande spazio commerciale Trans-Atlantico dovrebbe guidare in maniera del tutto naturale verso una riduzione significativa delle barriere tariffarie che frenano in maniera significativa la libera circolazione delle produzioni.
L’Europa e gli Stati Uniti hanno già una bilancia commerciale di beni e servizi di grandissima portata che vale quasi 700 miliardi di euro, pensare di non negoziare nemmeno per migliorare le regole di questo profondo rapporto significherebbe rifiutare a priori la possibilità di migliorare. Per l’Italia questo discorso potrebbe valere anche di più. “Siamo il paese Ue – conclude De Castro – che guadagna di più dal saldo attivo dalla bilancia commerciale agroalimentare Stati Uniti – Europa. Il Ttip non sarà la panacea di tutti i mali, ma riducendo le barriere e riuscendo ad intervenire sul misleading di DOP e IGP potremmo immaginarci almeno il raddoppio delle esportazioni attuali”.
È evidente che oggi la firma del Ttip assuma un’urgenza e un’importanza ancora maggiori in sé e in relazione agli equilibri che si stanno delineando a livello globale. Se così non fosse noi italiani continueremmo ad acquistare milioni di iphone made in USA mentre gli americani continuerebbero a trovare nei loro mercati solo prodotti alimentari italian soundig. Questo è il vero paradosso!