I prodotti tipici agroalimentari italiani valgono miliardi, ma solo alcuni. A guardar bene dentro l’ormai piuttosto ampio universo delle prelibatezze nostrane, infatti, ci si rende conto che occorre distinguere. Anche se, alla fine, il bilancio è comunque positivo. Soprattutto se si guarda alla generale ondata di segni meno che caratterizza l’economia nazionale.

Stando al Rapporto 2013 Ismea-Qualivita sui prodotti a denominazione di origine e a indicazione geografica protetta, sia sul fronte produttivo, sia sul piano del risultato economico è emersa una tendenza alla crescita. Per quanto riguarda, in particolare, l’andamento dei fatturati, Ismea stima un aumento di oltre il 2% del valore alla produzione, che ha raggiunto i 7 miliardi di euro grazie soprattutto alle vendite all’estero. Il giro d’affari al consumo si è invece attestato a 12,6 miliardi di euro, di cui circa 9 realizzati sul mercato nazionale. Numeri importanti, che diventano ancora più interessanti se suddivisi per tipo di prodotto. Spicca, quindi, il balzo in avanti del fatturato alla produzione e al consumo degli ortofrutticoli (rispettivamente +25% e +22%). Ottimo anche il comportamento del settore delle carni fresche (+23% alla prima fase di scambio e +13% a prezzi finali). A conti fatti, l’intero comparto nazionale delle DOP e IGP è cresciuto in termini quantitativi di oltre il 5%. E bene pare che vada anche la situazione sul fronte dell’export. Oltre un terzo del made in Italy certificato (circa 418mila tonnellate), è stato infatti venduto oltre confine.

Il risvolto della medaglia sta nella concentrazione del valore. L’indagine ha continuato a rilevare una forte concentrazione del fatturato su poche denominazioni, con circa l’84% del valore della produzione riconducibile alle prime 10 DOP-IGP. Certo, il fenomeno appare meno accentuato rispetto a qualche anno fa. Ma il dato è chiaro: il comparto dei tipici mostra asimmetrie ancora evidenti sia nei potenziali di produzione che nei valori di mercato. Negli ortofrutticoli, per esempio, il numero totale di denominazioni pesa sul totale per poco più del 39% ma il fatturato complessivo ha un’incidenza stimata del 7%; per gli oli di oliva il numero di denominazioni incide sul totale per il 17% ma il fatturato ha un peso di poco superiore all’ 1 %. Quasi opposto è invece il fenomeno per i formaggi ed i prodotti a base di carne. Dati che dono fare pensare tenendo conto che l’Italia rimane certamente il leader mondiale del comparto per numero di produzioni certificate, con 261 prodotti iscritti nei registri europei. Cercare di ottenere più valore da molte denominazioni tipiche, potrebbe davvero essere uno dei traguardi da raggiungere nel corso del 2014.