È una burrasca di questi giorni che rischia di trasformarsi in una vera e propria tempesta, pronta a penalizzare pesantemente l’export del comparto agroalimentare italiano, ed è tutta colpa di un “semaforo”.

Lo scorso 19 giugno il Governo britannico ha diffuso una Raccomandazione relativa all’ utilizzo in Inghilterra di uno schema volontario di etichettatura sul fronte-pacco, che sollecita la classificazione degli alimenti in base al contenuto di grassi, grassi saturi, sale e zucchero.

Secondo questo disciplinare, la classificazione avviene nei tre colori semaforici verde, giallo e rosso, in base al contenuto di ciascun componente in 100 grammi di prodotto. E’ un sistema in fase sperimentale, ma pericolosamente supportato e voluto dalla distribuzione britannica. In pratica questo tipo di classificazione non tiene conto della dieta complessiva, ma fornisce al consumatore un’ informazione parziale e distorta in contrasto con l’assunto che “non esistono alimenti buoni o cattivi, ma regimi alimentari corretti e non corretti” da sempre sostenuto da tutto il mondo scientifico.

Purtroppo il segnale immediato sul consumatore, istintivamente, si traduce in “rosso fa male, verde va bene”. L’utilizzo di questo sistema a semaforo, penalizza molti prodotti della tradizione alimentare italiana, che identificati da questa moderna “lettera scarlatta” verrebbero ingiustamente presentati in maniera distorta e totalmente negativa. Secondo i criteri proposti, quasi tutti i prodotti dolciari nazionali verrebbero presentati con bollini rossi o arancione sul fronte delle confezioni. Bollino rosso anche ai prodotti lattiero-caseari, i salumi, gli oli di oliva, i sughi pronti, le marmellate e molti altri. Danneggiati soprattutto i prodotti tutelati dai loghi DOP e IGP e quelli tradizionali con marchi di qualità, che devono rispettare i disciplinari di produzione e non possono variare la loro composizione diventando così le vittime principali del sistema inglese.

Secondo Michele Pasca Raymondo, esperto internazionale di politica agroalimentare, un passato da alto funzionario della Commissione Europea, siamo di fronte ad un problema serio. “E’ solo in teoria un sistema volontario, poiché ha ricevuto l’adesione della maggioranza della grande distribuzione inglese; quindi se un’ azienda o un consorzio agroalimentare vuole mantenere il volume di vendita su questo mercato, deve sottostare al diktat della distribuzione visto che le vendite ai consumatori passano più o meno all’ 80% attraverso questo canale”.

Ma questa misura non dovrebbe avere anche risvolti positivi sulla salute?

“In astratto sì, ma sono portato a credere, visto il grande interesse dei distributori, che ci siano sotto forti interessi commerciali, che tendono a sostituire negli scaffali i prodotti tradizionali a concentrazione naturale di nutrienti, con prodotti a basso valore nutritivo, con più acqua e coadiuvanti alimentari, magari etichettati con il marchio degli stessi distributori – potremmo definirli prodotti di imitazione o surrogati. Solo così si può spiegare come possa succedere che un litro di latte collezioni semafori gialli o rossi e un litro di bibita light piena di edulcoranti, acidificanti, conservanti ed aromatizzanti abbia solo semafori verdi. Così si penalizzano i nostri prodotti di qualità, che sono componenti fondamentali della dieta mediterranea, riconosciuta dall’UNESCO”.

E cosa dice l’Unione Europea?

“Certamente c’è l’obbligo di rispettare sia il principio della libera circolazione dei prodotti, che le disposizioni regolamentari settoriali, ma sembra che gli inglesi facciano un uso distorto e controcorrente della concezione di libero mercato – continua Pasca Raymondo – L’eccessiva frammentazione settoriale delle competenze a Bruxelles non riesce a far valutare correttamente gli effetti globali di una misura che in questo caso è discriminatoria”. E soprattutto fa riapparire la divisione culturale nord – sud all’interno dell’Unione Europea.