In primo piano la green economy, solo qualche direttiva dedicata all’agricoltura sostenibile

La Conferenza sullo sviluppo sostenibile di Rio de Janeiro non è ancora finita e già sembra che, al pari dei precedenti incontri internazionali sul tema, non rappresenterà una tappa importante nella lotta alle sfide mondiali. Una delle sezioni della conferenza è stata dedicata al cibo ed al ruolo dell agricoltura che viene ancora percepita in due modalità; la prima legata al mondo degli allevamenti e delle colture intensive, che producono inquinamento, e l’altra quella della biodiversità e della tutela del paesaggio che hanno un effetto positivo sull ambiente.

Seda una parte le associazioni ecologistiche chiedono a gran voce di ripensare ad una agricoltura più sostenibile con il rispetto della specie vivente, la riduzione della filiera e gli sprechi alimentari, ci sono molti Paesi in via di sviluppo che chiedano all agricoltura di essere più produttiva in quanto il tema della sicurezza alimentare è più pressante di quello ambientale. Sono circa 900 milioni le persone sottonutrite e 2 miliardi quelle con carenza alimentari che pressano governi e organizzazioni su scelte ambientali molto discutibili.

Comunque è chiaro che l’agricoltura può avere un ruolo centrale nel mantenere alta la qualità dell’ambiente. Concetto chiave è la green economy, su cui i Paesi partecipanti vogliono giungere ad un accordo internazionale. Non si può parlare di green economy senza far riferimento all’agricoltura sostenibile. Quest’ultima infatti consente di soddisfare le esigenze economiche, di alimenti per i consumatori e di reddito per gli agricoltori, ma senza compromettere il patrimonio ambientale; nelle coltivazioni e negli allevamenti utilizza il più possibile i processi naturali e le fonti energetiche rinnovabili disponibili, riducendo così l’impatto ambientale dovuto all’uso di sostanze chimiche (pesticidi, concimi, ormoni, antibiotici) alle lavorazioni intensive del terreno, alle monocolture e monosuccessioni, nonché allo smaltimento indiscriminato dei rifiuti di produzione.

L’agricoltura europea è già orientata in questo senso. La Direttiva 2009/128/CE, che impone l’obbligo per tutte le aziende agricole di applicare l’agricoltura integrata, si pone l’obiettivo di realizzare un uso sostenibile degli agro-farmaci, riducendo i rischi e gli impatti sulla salute umana e sull’ambiente e, allo stesso tempo, promuovendo l’uso della difesa integrata e tecniche alternative. Per quanto riguarda l’Italia, negli ultimi vent’anni gli agricoltori hanno ridotto l’uso di farmaci agricoli del 20% e quello dei concimi minerali del 40%, cercando di privilegiare quelli di natura organica. Inoltre molte aziende sono impegnate nella produzione di energia verde, con un impatto ambientale quasi nullo.

I fatti quindi sembrano dire che i protagonisti del mondo agricolo non sono reticenti al cambiamento, ma è necessario in primo luogo che ci sia un coordinamento a livello internazionale per delle politiche chiare e precise in questo senso.

Nelle 49 pagine della dichiarazione finale del documento Rio+20, vengono destinati all’agricoltura sostenibile una manciata di articoli contenenti poche e scarne dichiarazioni di principi generici e ridondanti rispetto a quanto più volte ribadito in altre occasioni, restando puntualmente soltanto belle parole da leggere. Eppure a mancare non sono di certo le idee, gli strumenti e le strategie. A suffragio di quanto enunciato solo in teoria, si sarebbe potuto discutere e affrontare, ad esempio dell’educazione alimentare o quello delle IG che rappresentano infatti un valido e sostenibile modello di sviluppo economico e territoriale, di emancipazione delle zone rurali, anche nei Paesi più poveri, di sostegno ai redditi agricoli, di rispetto e preservazione dell’ambiente, della biodiversità, della cultura, la tradizione, la storia di un determinato territorio.

In un momento di forti cambiamenti sociali ed economici il passaggio ad una green economy è un’opportunità per riconciliare i bisogni economici con i problemi ambientali mentre si promuove la sicurezza alimentare per i Paesi in via di sviluppo in un contesto politico coerente, dando all’agricoltura un ruolo primario.