Molti degli indicatori economici che vengono pubblicati per capire se ci siano segnali di ripresa oppure no, hanno a che fare con le dinamiche del cibo. L’ultimo dato sull’aumento del prezzo del petrolio testimonia non solo una crescita commerciale mondiale ma porta anche a constatare un aumento nella spesa quotidiana di ognuno. Si calcola infatti che con il petrolio salito a quota 70 euro il barile, il prezzo della spesa alimentare minima per una famiglia americana di 4 persone sia di 188 dollari al mese e che potrebbe diventare 424 dollari con il petrolio ai livelli del 2008; anche in Europa la spesa è arrivata a ricoprire il 20% del salario annuo di un lavoratore medio. Ma insieme al petrolio c’è un altro elemento che corre vertiginosamente, è il costo della spesa sanitaria per curare le malattie legate all’obesità. Un costo che solo in America si aggira attorno al 9% e che non è da sottovalutare in Italia in cui si attesta al 6,7% del bilancio della sanità pubblica.

Dati questi che, per quanto strettamente interconnessi, ancora oggi vengono trattati dalla politica in maniera disgiunta, eliminando i vari nessi di causalità, e senza capire soprattutto che “tirando la coperta solo da una parte inevitabilmente l’altra resta scoperta”. Se si riuscisse infatti a capire che ponendo le tematiche in una dimensione di interdipendenza ed affrontandole in un’ottica complementare, molti di questi problemi, la cui portata è indicata chiaramente dai numeri, potrebbero essere risolti con maggiore facilità e con buona pace di tutti. Ciò che deve essere messa in atto è una vera Food Politics.

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