L’Unità.

L’intervista a Dario Stefano. 49 anni, è assessore all’Agricoltura della Regione Puglia e coordina a livello nazionale gli assessori regionali. Anno 1993:referendum per l’abolizione del Ministero Agricoltura e Foreste: votarono quasi 37 milioni (76,90%) e circa il 70,20% si espresse in favore della soppressione. Al suo posto fu creato il Ministero delle Risorse Agricole e nel’97, con la legge Bassanini, avvenne il passaggio alle Regioni di molte competenze in materia di agricoltura, foreste, pesca, agriturismo, caccia, sviluppo rurale e alimentazione. Il dibattito sulle competenze politiche dell’agricoltura è sempre vivo anche perché le problematiche connesse sono diventate nel via via più "internazionali": sicurezza, land crabbing, finanziarizzazione delle materie prime, volatilità dei prezzi. Neanche la dimensione europea sembra essere in grado di dare risposte adeguate a queste criticità. Per questo motivo la discussione politica agricola è stata spesso accompagnata dal discorso su quale modello organizzativo si dovesse poggiare. Ed in questo contesto il ruolo delle Regioni è sempre stato visto come antagonista a quello del Ministero centrale. Con Dario Stefano, assessore agricoltura della Puglia e coordinatore a livello nazionale degli assessori regionali, abbiamo approfondito il tema della coesistenza tra la dimensione territoriale e quella internazionale del governo agricolo. Lo slogan act local, think gIobal, tanto in voga in questi ultimi anni, può avere un senso politico o non si tratta di una di quelle famose convergenze parallele di antica memoria? «Credo sia più corretto parlare di più dimensioni, tra loro diverse ma tutte importanti e correlate. Quella internazionale lo è per le evidenti ragioni legate alla necessità di avere un sistema di regole comuni, in tema di sicurezza alimentare, ad esempio, ma anche per un maggiore e migliore coordinamento sul tema della volatilità dei prezzi. Poi c’è la dimensione europea, importante per gli strumenti regolamentari e le politiche con cui sosteniamo i sistemi agricoli e, in generale, i territori rurali. Infine, quella regionale che coinvolge direttamente la realizzazione delle politiche in tema agricolo ed alimentare. E sui territori e sulle capacità locali, infatti, che si innestano le possibilità di crescita organizzativa e strutturale della nostra agricoltura: è proprio nel legame con i territori che costruiamo gran parte del nostro valore aggiunto». Ma di preciso cosa hanno fatto le Regioni in questi anni? «In un periodo di precarietà anche nella rappresentanza politica nazionale (in questa seconda parte di legislatura si sono avvicendati ben quattro ministri all’agricoltura), il ruolo delle Regioni è stato fondamentale. Soprattutto sul fronte delle riforme europee». In un ottica di riforme complessive di cui dovrà farsi carico il nuovo governo, quali secondo te sono le priorità agricole. E che ruolo dovranno avere le Regioni? «È venuto il momento di rimettere l’agricoltura al centro dell’agenda politica e di governo. L’ultima Finanziaria che ha visto risorse destinate all’agricoltura risale al governo Prodi nel 2007! In tutto questo scenario in rapida evoluzione è mancata a livello nazionale una strategia chiara, ed è stato lasciato spazio a un racconto sfasato che ha narrato la leggenda dell’art. 62 come la "soluzione delle soluzioni". Per dirla chiara e in due parole: per il prossimo governo la priorità sarà definire una politica agricola nazionale, sostenibile e ambiziosa. Una politica che affronti i nodi organizzativi e infrastrutturali, ma anche la revisione di norme comunitarie, che penalizzano le possibilità di espressione del nostro straordinario patrimonio agroalimentare. Una politica all’interno della quale le Regioni possano continuare a fare la loro parte, affrontando la sfida della migliore gestione delle risorse per la programmazione rurale 2014-2020. Bisognerà fare scelte chiare, capaci di dare continuità a una sorprendente rivitalizzazione dell’attività agricola che, soprattutto nelle regioni meridionali, ha visto un importante e positivo protagonismo di migliaia di nuovi e giovani imprenditori agricoli, che ci hanno aiutato a recuperare l’agricoltura come valore identitario». Cosa ti auspichi per il negoziato sulla Politica agricola comune (Pac)? «La strada del negoziato mi sembra ancora tutta in salita, con un "tema risorse" che diviene dirimente. Nel merito, invece, rispetto alle proposte iniziali di Dacian Ciolos (commissario europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale nella Commissione Barroso II, ndr) credo di poter affermare che il dibattito ha registrato significativi passi in avanti, anche grazie all’impulso dato dal sistema Regioni. L’auspicio è che le decisioni finali tengano conto del valore strategico di questo settore, fondamentale dal punto di vista economico, sociale e ambientale». La Puglia in questi anni è stata una delle Regioni di punta per il made in Italy… «Abbiamo recuperato molte delle identità agricole della nostra Regione, accompagnando le imprese con la fornitura di servizi materiali e immateriali attraverso strategie di medio-lungo termine. Occorrono per migliorare, strumenti adeguati per la internazionalizzazione del nostro sistema Paese. Ma per fare questo abbiamo bisogno di un nuovo governo che investa, finalmente, sulla agricoltura».