Il caldo ha danneggiato le coltivazioni di mais e pomodori. Per la Ue non c’è solo l’incubo spread

Che i cambiamenti climatici stessero incidendo in maniera sempre maggiore sulle nostre vite è ormai un fatto indiscutibile. Ad evidenziare però la forte e diretta correlazione che esiste tra questi e il sistema agricolo e produttivo ci stanno pensando le alte temperature di questa estate, compromettendo seriamente coltivazioni e raccolti.
Ad aver subito i maggiori danni, le coltivazioni di mais, pomodori, barbabietole e girasoli. Circa il 30% del mais e il 45% della soia prodotte dalle coltivazioni estensive del nord del Paese sono già andate perse; stesso destino per circa il 25% della produzione di pomodori nel sud.
Un totale di perdite che si aggira sinora attorno al mezzo miliardo di euro. La situazione non è purtroppo diversa per gli allevamenti, su cui pesano, insieme alla scarsità di mangimi per l’alimentazione, i danni derivanti direttamente dagli effetti delle alte temperature sugli animali: conseguenza ne è, ad esempio, la riduzione del 10% della produzione di latte.
Oltre alle temperature superiori alla media stagionale, contribuiscono ad aggravare il fenomeno gli incendi, causa non solo del caldo ma anche di una mancata attenzione nei confronti del territorio e dell’ambiente, forti temporali e grandinate che intervallano i vari anticicloni.
Quanto sta accadendo all’agricoltura italiana non è però circoscritto solo al nostro Paese. Al di la dell’oceano, negli Stati Uniti, la siccità ha reso inutilizzabile il 60% della produzione agricola e il 91% delle aree adibite a pascoli.
In Ohio e Nebraska, dove si produce la maggior parte del fabbisogno cerealicolo americano e di molti altri Paesi del mondo, il mais secco sulle piante inaridite costituisce una prova inconfutabile dello stato in cui versano le coltivazioni. La Usda prevede una riduzione delle scorte globali di mais a solo il 15% della domanda annuale, quasi al minimo storico.
La gravità della situazione è facilmente intuibile se si pensa che il mais è alla base della catena alimentare dell’economia americana, e non solo, visto che riveste un ruolo fondamentale anche in altre filiere produttive, come quella dei mangimi animali, degli additivi alimentari e dei biocarburanti. Con la prospettiva anche di un ritorno di El Nino entro la fine dell’anno, il fenomeno meteorologico che ha causato la siccità in Argentina e Australia contribuendo così anche alla crisi del 2007-2008, l’economia mondiale sarà ancora soggetta al meteo.
Ancora una volta dunque, dall’Europa all’America che si espande in tutto il mondo, il settore agroalimentare si trova ad affrontare situazioni di crisi e di emergenza che però altro non sono che la punta dell’iceberg di un fenomeno che si manifesta ormai con frequenza costante.
Forse è tempo di una riflessione seria sulle conseguenze dei mutamenti in corso a livello globale, non si può puntualmente aspettare che siano eventi come quello a cui stiamo assistendo in questi giorni, a ricordarci che bisogna correre ai ripari. Essendo ormai noto che gli effetti dei cambiamenti climatici interesseranno con particolare intensità l’area mediterranea, il nostro Paese dovrebbe attrezzarsi in modo tale da sviluppare misure di adattamento in grado di mitigarne efficacemente gli effetti.
Inoltre, il basso livello delle scorte di cereali a livello globale significa che qualsiasi ulteriore interruzione dei rifornimenti sarebbe devastante per il mondo intero. La gravità della situazione è confermata da Mr. Abbassian della Fao che dice: «Siamo tornati al punto di partenza dell’anno scorso, è una situazione alla giornata. Abbiamo davanti a noi una strada in salita e dissestata nei prossimi mesi». Un pensiero questo che ci porta anche a pensare alla prossima Pac in un’ottica diversa, con un’ Eurozona più che a rischio di spread, a rischio di crisi alimentare.