Leggendo l’intervento del Sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, in merito all’ Expo, apparso sabato scorso su questo giornale, mi sono ritrovato a condividerne in pieno le affermazioni, ma vorrei aggiungere qualche riflessione sui contenuti concreti del tema, visto che oggi possiamo guardare in maniera meno incerta a questo importante. Vorrei provare a pensare a cosa resterà agli italiani e a tutti gli altri, visto che l’evento ha una dimensione spiccatamente internazionale. Ritengo che i temi che dovranno essere affrontati in tempi rapidi sul versante alimentazione siano essenzialmente due.

 

Il primo é il tema relativo al nuovo modello di sviluppo agroalimentare. Il secondo è la semplificazione della governance alimentare a livello mondiale.Ripensare ad un modello alimentare è necessario per dare risposte sia alla scarsità di cibo rispetto alla enorme crescita della domanda di Paesi come Cina e India, sia per dare la necessaria qualità e salubrità agli alimenti che hanno visto in questi anni un loro progressivo deterioramento. Per affrontare correttamente questo tema a mio avviso é necessario uscire dalla sterile contrapposizione  locale/globale o contadino/multinazionale. Per troppi anni, soprattutto in Italia la discussione sull’agricoltura con  modelli calcistici, quasi appunto si trattasse di un match tra due schieramenti contrapposti: i seguaci del “piccolo é bello” contro quelli del “grande é conveniente”. Nessuno dei due approcci, però, è stato in grado fin qui di formulare soluzioni definitive e convincenti. La rincorsa tutta italiana a malintesi concetti di identità e tradizione, intesi più come simboli astratti che come elementi di continuità e quindi fattori di sviluppo ha frenato molto lo sviluppo del settore agroalimentare che pure aveva ed ha una forte potenzialità per porsi come uno dei settori trainanti nel il rilancio della nostra economia. Ci si è preoccupati troppo di quella che molti definiscono l’ ”archeologia alimentare” e sono state impiegate troppe risorse per potenziare prodotti di nicchia che soddisfacessero i palati fini, magari portando importanti contributi sul piano culturale che però non possono da soli garantire l’auspicato sviluppo. Il concetto di identità che abbiamo promosso è quello autoreferenziale del confine, del recinto che è proibito oltrepassare. Ma si tratta di una visione troppo limitata perché possa rappresentare un modello di sviluppo. Le tradizioni, le identità, in una parola, le culture, sono infatti a mio avviso dei ponti verso il futuro e non rigidi osservatori del passato, come Pisapia é riuscito benissimo a far comprendere anche durante la recente campagna elettorale. Su un altro versante, ormai, dopo che  la francese Lactalis ha acquisito la Parmalat e il business tutto italiano del caffè è stato “regalato” alla svizzera Nestlé ci rimane solo la Barilla come grande azienda di prestigio con una vera esperienza globale. Credo allora che per partecipare fattivamente al dibattito sui modelli alimentari, si debba intanto partire dalle ottime esperienze dei consorzi come quelli del Parmigiano Reggiano, del Grana Padano, del Prosciutto di Parma, e del Chianti Classico  che rappresentano  ancora, nonostante la crisi internazionale, delle eccellenze della produzione italiana frutto di un impegno serio e capace di dare risultati di grande qualità. La mia opinione è che un nuovo modello di sviluppo agricolo può e deve trovare buone idee e rinnovate energie guardando a queste nostre esperienze, all’interno di quello che potremmo definire una sorta di federalismo alimentare dove si riducono le distanze, si cerca sostenibilità del prodotto  e non si rinuncia alla qualità.

 

Il secondo tema é quello della governance alimentare. Nell’ambito del nostro contesto economico ormai produrre e consumare cibo è diventato, paradossalmente,  complicatissimo : troppa burocrazia per le imprese, poca  sicurezza per i consumatori. Le parole che negli ultimi mesi sono state associate al mondo agroalimentare nella stampa sono sempre più incomprensibili e allarmanti: quote latte, disaccoppiamento, epidemie alimentari. Stiamo rapidamente prendendo atto di come nella situazione attuale tutto contribuisca ad allontanare il fenomeno cibo dalla sua dimensione semplice e naturale.Se prendiamo ad esempio la situazione delle aziende italiane di settore, ma anche quelle europee, ci accorgiamo di quante risorse sprechino per gli adempimenti burocratici. Oggi giorno si passa più tempo per “essere in regola” che a produrre cibo. Un sistema troppo caotico; solo in Italia ci sono una miriade di enti ed organismi con cui un impresa agricola deve dialogare. Una seria discussione sulla governance alimentare, non solo per semplificare e far produrre meglio le aziende, ma anche per contribuire a risolvere in maniera positiva contenziosi internazionali ancora pendenti, come ad esempio i negoziati sugli accordi Trips per la tutela giuridica delle IG, si rende necessaria. Basti pensare che solo all’ Italia questa situazione di incertezza legale sottrae un possibile fatturato che sfiora i 70 MLD l’anno. Credo che un dibattito in questo senso, possa essere un contributo fattivo e concreto che l’Expo potrà portare con un vantaggio per tutti.

 

Spero che da oggi in poi si  possa aprire la fase del dibattito sui contenuti attraverso un contributo di tutti gli attori interessati ed i cittadini, superando ogni preconcetto politico o ideologico.