La presentazione di questi giorni del terzo rapporto “Agromafie e caporalato” a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto di Flai Cgil ha rinnovato con forza il tema della tutela dei diritti e della dignità dei lavoratori in agricoltura. I dati del rapporto sono impietosi: 430mila tra italiani e stranieri sono i lavoratori vittime di sfruttamento, per una crescita di circa 30/50.000 unità all’ultima rilevazione. Ma non solo, se prima il fenomeno non aveva una struttura vera e propria ed era circoscritto solo in alcune aree del Paese adesso si può parlare di un vero e proprio sistema organizzato, collegato alle organizzazioni criminali e diffuso su più aree del territorio nazionale. “I dati che presentiamo – ha dichiarato Ivana Galli, Segretaria Generale Flai Cgil – ci consegnano una fotografia del Paese nel quale il fenomeno del caporalato e dello sfruttamento lavorativo in agricoltura sono elementi che si presentano in forma virulenta, aggressiva ed organizzata”.

 

Un fenomeno in grado di generare in Italia un giro di affari tra i 14 e i 17,5 Miliardi di euro che richiede subito la rapida adozione di almeno due misure di urgenza: una sempre più convinta adesione da parte delle imprese alla rete di qualità sul lavoro messa in piedi dal Ministero delle Politiche agricole e dall’Inps e una rapida approvazione della legge in discussione al Parlamento.

 

Una vera e propria piaga per il lavoro in agricoltura che si inserisce in un contesto dai forti segnali di cambiamento. A livello occupazionale si evidenziano segnali di ripresa,con un 2015 che si è chiuso con il +1,45% di occupati nel comparto e con una situazione media complessiva in deciso aumento in termini di reddito (secondo Eurostat +9,4% rispetto al 2014), anche se non è da ignorare l’emergenza che si trovano ad affrontare alcune filiere in termini di bassa remuneratività e crollo dei prezzi.

 

Rispetto al fattore sicurezza il comparto resta uno dei più rischiosi, con un’incidenza di infortuni più elevata rispetto agli altri settori (Istat 2014: tasso del 3,5% di settore contro il 2,1% complessivo). Detto questo, è evidente un netto e progressivo miglioramento nel tempo: il numero di denunce presso l’Inail è passato da oltre 50mila nel 2010 a 39mila nel 2014 per un calo del -22% in soli cinque anni, così come gli incidenti mortali, che rappresentano lo 0,4% degli infortuni in agricoltura, nel quinquennio hanno registrato una diminuzione del -10%.

 

Tra i numerosi temi che riguardano il lavoro in agricoltura, oltre a sfruttamento della manodopera, reddito agricolo e sicurezza, è urgente il tema del ricambio generazionale. Per quanto riguarda la nuova generazione agricola il trend è positivo sia in termini quantitativi (nel 2015 si registra un +12% dei lavoratori under 35 sul 2014) che in termini qualitativi, grazie agli evidenti segnali di innovazione delle “aziende giovani” riscontrabili per esempio nello sviluppo dell’agricoltura multifunzionale che porta con sé diversi nuovi mestieri.

 

Per dare risposte alle nuove emergenze, specialmente in fenomeni molto complessi come le agromafie e i redditi bassi, probabilmente sono necessari modelli di sviluppo virtuosi e nuove politiche di lungo periodo. “È necessario recuperare la vocazione originaria dell’agricoltura – afferma Alfonso Pascale esperto di agricoltura e sviluppo locale – che non risiede solo nella sua dimensione produttiva, ma anche nella promozione delle persone e delle comunità. È necessario superare il modello esclusivamente produttivistico e recuperare la funzione di innovazione socialedell’agricoltura, che significa recuperare quella dimensione orizzontale capace di sviluppare relazioni per creare condizioni di sviluppo dei territori. È un aspetto fondamentale della nuova ruralità, che non può essere lasciato alla spontaneità degli operatori, ma che ha bisogno di una politica attiva che interagisca con i territori”.

 

Un processo ambizioso e di lungo termine che potrebbe vedere un inizio con il recupero di una cultura agricola più legata alla dimensione territoriale e più capace di essere agricoltura di servizio, cioè funzionale alla crescita della collettività. In questo senso sarebbe auspicabile che si desse valore non solo al prodotto finale o allo chef che lo elabora, ma anche a tutte le figure professionali che contribuiscono alla sua realizzazione.

 

Mauro Rosati
Direttore Generale Fondazione Qualivita