Circa 17.000 metri quadrati, disposti su quattro livelli, dove il cibo di grande qualità sarà esposto e messo in vendita, degustato nei vari ristoranti e studiato nelle aule didattiche. Un’integrazione totale tra mercato, ristorazione e formazione. Oltre lOmila prodotti agroalimentari di qualità, fra freschi e non, 23 luoghi di ristorazione monotematici, 40 aree didattiche/emozionali e 8 aule in cui si svolgeranno lezioni e corsi su tutti i temi dell’agroalimentare italiano. Vi troveranno lavoro circa 500 collaboratori. È il nuovo spazio dei record dedicato al cibo, voluto proprio a Roma dall’imprenditore torinese Oscar Farinetti, già re degli elettrodomestici con Unieuro, che insieme ai suoi tre figli, guida una squadra di circa 200 persone, pronta alla sfida più impegnativa. Sono già stati spesi 80 milioni per il recupero dell’Air Terminal della stazione Ostiense di Italia ’90, degradato da venti anni di abbandono, in previsione dell’apertura del tempio del cibo italiano, che cade in un momento certo non facile per l’economia.
«Ci aspettiamo ogni giorno più di 30.000 visitatori provenienti da Roma, dal Lazio e delle regioni limitrofe, oltre a un grande numero di turisti che, dopo aver visitato i tesori artistici di Roma, troveranno in Eataly Roma, un altro grande luogo della creatività italiana».
Dopo NewYorke Tokyo, Torino, Genova, Milano e Bologna,avete voluto che fosse proprio Roma il vostro centro più importante?
«Volevamo assolutamente che lo spazio Eataly più straordinario fosse a Roma, e ci auguriamo di replicare il successo di New York, dove abbiamo iniziato con 350 dipendenti e oggi siamo a 750, con 80 milioni di dollari di fatturato all’anno e puntiamo a farlo diventare una meta turistica. Siamo consapevoli di fare una cosa che pochissimi stanno facendo oggi in Italia. Ma consociamo molto bene questo mercato, siamo una squadra dinamica, il segreto è avere una reattività pazzesca».
Come siete strutturati?
«Siamo un’organizzazione manageriale con libertà di azione. Abbiamo molti espertissimi dei diversi settori, salumi, formaggi, birre. Segnalano le novità e le cose importanti».
II made in Italy gode di molta notorietà ma ha difficoltà ad affermarsi all’interno della grande distribuzione, soprattutto all’estero. Iniziative come questa quanto aiutano e favoriscono lo sviluppo della commercializzazione dei prodotti agroalimentari italiani?
«Alla luce della nostra esperienza posso dire che servono moltissimo. lo sono stato due anni a New York è ho visto cambiare tante cose. La gente è interessata a capire, conoscere cosa compra e cosa mangia, per questo la formazione e gli spazi didattici sono fondamentali all’interno di Eataly. Noi puntiamo molto a far vedere come vengono fatti i formaggi, come si tira la sfoglia, cosa è davvero un aceto. Vengono tanti piccoli produttori, da noi trovano spazio e da noi si creano contatti. All’estero resta il problema della contraffazione, che è favorito anche dalla difficoltà dei nostri prodotti di arrivare ai mercati stranieri. Come Stato, come consorzi, come associazioni, c’è molto da fare in questo senso, i prodotti non arrivano per problemi burocratici, così si favorisce il diffondersi dei prodotti contraffatti, e un’altra nota dolente è che. una volta superati questi impedimenti, spesso non c’è una produzione tale da reggere le richieste dei mercati».