L’unità

Albino Russo di Coop “Sprechi alimentari ridotti del 2% nel 2012”. La triste certezza dei numeri. I dati arrivati dall’OCSE con la nuova edizione dell’Economic Outlook confermano quanto già dichiarato dalla ricerche sui consumi fatte in questo ultimo periodo sia da ISTAT che da Coop Italia. Il dato più eclatante è che nell’anno 2012 si è registrato il maggior calo dei consumi delle famiglie italiane dal secondo dopoguerra. Il più grande passo indietro che si sia mai visto. A indebolire la domanda hanno contribuito le misure di austerità e quindi la riduzione dei redditi e allo stesso tempo l’aumento dei prezzi. Se fino a qualche tempo fa i cittadini, seppur in difficoltà, cercavano di rimanere dei consumatori attivi, non stravolgendo il proprio stile di vita, ora invece qualcosa è cambiato. Le famiglie non hanno più fiducia nel fatto che la situazione possa migliorare nell’immediato,

ma sanno invece che la crisi durerà e quindi si vedono costretti a modificare le proprie abitudini di vita per attrezzarsi a vivere con un reddito minore.

Uno dei primi provvedimenti intrapresi nell’ottica della “spending review” domestica è stato la rinuncia ad alcuni beni, in particolare a quelli durevoli, come automobile, elettrodomestici e arredamento, ad eccezione delle nuove tecnologie come iPad e iPhone. E’ cambiato anche il modo di spostarsi e quindi l’utilizzo dei mezzi locomozione. Il caro benzina ha portato sempre più gli italiani a riprendere in mano la bicicletta oppure di affidarsi alla modernità con le nuove ed economiche modalità di trasporto come il “car sharing”. Praticamente si cerca di risparmiare in qualsiasi modo, per recuperare soldi da utilizzare in altro. 

Ma le abitudini senz’altro più sensibili al mutamento in tempi di crisi sono quelle alimentari. Il modello italiano del “bello e buono”, con riferimento al gusto per l’estetica e per il buon cibo, in un contesto come quello attuale è inevitabile che subisca delle ripercussioni. Ma se ciò è inconfutabilmente valido per il primo aggettivo e quindi per settori quali la moda e il design, non sembra esserlo invece per l’alimentazione, rispetto a cui invece l’atteggiamento dei consumatori è sorprendente. Come afferma il responsabile dell’ufficio studi di Coop, Albino Russo: “Gli italiani si sono dimostrati intelligenti e giudiziosi perché consapevoli della necessità di dover modificare i propri acquisti. Hanno deciso di cambiare difendendo la propria cultura alimentare, la qualità e quindi non scegliendo prodotti economici ma riducendo gli sprechi che si sono ridotti di circa il 2% rispetto lo scorso anno”. 

Generalmente in situazioni di difficoltà economica, aumenta l’acquisto di pasta, prodotti in scatola a basso costo ad alto valore energetico, oggi non sembra essere così. Gli italiani hanno per ora scelto un’altra strada, quella di ridurre gli sprechi, sia a livello di quantità che di superfluo, per tutelare la qualità. Con attenzione quasi scientifica al consumo perché gli italiani pur essendo pessimi pagatori di tasse e mediocri elettori, sono invece ottimi manager della loro casa; infatti sui consumi finora hanno fatto delle buone scelte, che sono andate a vantaggio loro e delle produzioni di qualità. Si compra meno per evitare di buttar via i prodotti facilmente deperibili e si evitano quelli superflui; diminuiscono nelle dispensa i cosiddetti piatti pronti, gli snack, le merendine, le cole ed il vino, mentre si preferiscono i salumi, i formaggi, i legumi precotti e la polenta istantanea; alimenti che costano poco e fanno parte della tradizione. Il ritorno alla gastronomia italiana sostituisce dunque la modernità e il low cost. Il vecchio e caro “pane&salame” rappresenta la nuova scelta alimentare. Una sorta di ritorno al passato. 

Ma quali sono le prospettive future? Se finora gli italiani sono riusciti a mantenere questo trend positivo, non è detto che ciò potrà durare a lungo, soprattutto se costretti a stringere sempre più la cinghia. C’è da chiedersi fino a che livello di reddito si sarà disposti ad impegnarsi negli acquisti per garantirsi la qualità. Tutto ciò dipende da una serie di fattori, ma principalmente da che tipo di aiuto riceveranno le famiglie nel futuro. Incentivare gli acquisti delle auto, come è successo nel passato, non sortirebbe effetti positivi poiché per un buon 60% daremmo lavoro ad un metalmeccanico tedesco. Sono necessarie perciò nuove politiche. 

Ci auspichiamo, alla luce di questo quadro drammatico, azioni e misure tempestive dal prossimo governo – Bersani o Renzi che sia – che abbiano sempre più a cuore la qualità dei consumi e che affianchino le famiglie a ridisegnare la spesa in maniera più intelligente. Questo secondo me è fare qualcosa di sinistra, ma soprattutto è fare qualcosa per la gente.