Le chiacchiere stanno a zero in questa partita fra Italia e Cina soprattutto per il comparto agroalimentare. ll memorandum of understanding (MoU), che si sta per siglare tra Roma e Pechino inserisce l’Italia tra i più importanti partner della via della Seta marittima cinese (Belt and Road Initiative) con il colosso asiatico che consoliderà la sua presenza in ben 12 porti del Mediterraneo
Si tratta di aprire un canale che espone al rischio di un’inondazione di prodotti cinesi (e non solo) in tutta Europa in cambio di cosa? Poco o nulla.
Lo sanno bene le aziende italiane del settore agroalimentare che in questi anni hanno tentato di aprire un mercato in Cina ottenendo scarsi risultati. E le motivazioni principali non sono da ricondurre alle difficoltà nel diffondere la conoscenza dei prodotti fra i consumatori cinesi, o nella promozione del valore e della cultura made in Italy nel mercato asiatico, bensì la vera barriera è quella relativa alla gestione dell’immensa burocrazia per le spedizioni e lo sdoganamento di prodotti alimentari italiani ed europei.
Sono ancora vivi i ricordi di quando, un vecchio ambasciatore italiano a Pechino, tentava di sdoganare il Prosciutto di Parma DOP per una cena che si sarebbe dovuta tenere nell’ambasciata in occasione della visita dell’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E sono ancora più vivi (e recenti) quelli legati all’impossibilità di trasportare le arance rosse di Sicilia in Cina con mezzi aerei: ci sono volute diverse missioni del governo italiano negli ultimi cinque anni per convincere la Cina di accettare export di agrumi. Per non parlare del vino e dei tanti investimenti in promozione fatti dalle aziende del nostro Paese che, ad oggi, vedono preferire al prodotto italiano vini con un blasone senz’altro inferiore. Basti pensare che il nostro Paese, primo produttore assoluto di vino e secondo esportatore al mondo dopo la Francia, è soltanto il quinto fornitore della Cina, con una quota di mercato di appena il 6%.
Del resto gli ultimi dati Istat sull’export tricolore nel 2018 mostrano un trend che fatica a decollare nel Paese asiatico, con esportazioni italiane in calo del -0,8% per i prodotti alimentari, del –1,6% per le bevande e, in particolare, del -2,4% per il vino.
Credo davvero che sia opportuno, da parte delle aziende, chiedere a gran forza che prima di chiudere un accordo con la Cina si rivedano tutte le procedure burocratiche che oggi impediscono realmente, soprattutto nel settore agroalimentare, di esportare cifre e quantità consistenti di prodotti italiani in un mercato che conferma di essere fra i più importanti nello scenario globale.