Dal produttore al consumatore: un modello di business alimentare non solo per i "piccoli"

L’estate 2011, con le torride temperature raggiunte dai mercati finanziari internazionali, ha messo in allarme anche  le imprese dell’agroalimentare. Lo scenario, già difficile per i consumi stagnanti e la pressione esercitata delle catene della distribuzione moderna, diventa ancor più difficile di fronte alle minacce di nuova recessione.
Le imprese agroalimentari si interrogano sul “cosa fare”. Chi può, cerca di stringere la cinghia e offrire alla GDO prezzi più bassi, adottando così la strategia del “tirare a campare” e sperando che la crisi duri il meno possibile. L’estero è, per molti, il salvagente cui ci si è aggrappati negli ultimi mesi. E per fortuna, nonostante le difficoltà globali, specie per il vino e gli altri prodotti tipici di qualità, ci sono ancora spazi. Di fronte a questo scenario c’è anche una terza via, forse fino ad oggi troppo sottovalutata: la vendita diretta. In Italia questo tema ha assunto grande spazio nel dibattito ma in termini concreti è stato relegato ad un fatto di puro folklore o, in taluni casi, di mera opportunità di integrazione del reddito per i piccoli agricoltori. Uno studio recente di Confcommercio ha messo in evidenza che sono oltre 60.000 in Italia i punti vendita (dall’azienda agricola ai mercati rionali, dai farmers market fino ai veri e propri negozi gestiti dagli imprenditori agricoltori) in cui i consumatori possono acquistare prodotti agroalimentari direttamente dal produttore. Rispetto al totale dei consumi alimentari tale canale rappresenta appena alcuni punti percentuali in valore, ma nel solo 2010, gli acquisti diretti dal produttore hanno registrato un’impennata del 40%.
E partendo da questi numeri forse esistono le basi per una riflessione che vada oltre le micro aziende agricole, e che può riguardare anche le medie e grandi imprese alimentari italiane. Vendita diretta, infatti, vuol dire rapporto diretto con il consumatore. Pertanto, se il prodotto è di qualità, significa rapporto consolidato e più difficilmente sostituibile. Ma al tempo stesso significa pagamento immediato e non a 3 o 6 mesi come avviene di norma nei canali moderni. Ne sanno qualcosa anche i grandi brand del tessile e del lusso; una parte del loro fatturato oggi infatti arriva dai negozi in fabbrica i cosiddetti Factory Store.
Fare vendita diretta può significare organizzare le strutture aziendali per accogliere i clienti in sede, oppure aprire punti vendita nei centri urbani, o ancora usare gli strumenti multimediali avanzati ed i servizi di logistica per la consegna a domicilio. In Europa troviamo esperienze di imprese alimentari con fatturati importanti (anche superiori alle decine di milioni di euro) che ricavano dalla vendita diretta quote di fatturato tra il 25 e il 50%.
Si tratta di modelli di business diversi ma potenzialmente molto utili per contribuire ad uscire dalle secche della crisi anche per molte imprese del Made in Italy di qualità.

 

La dura vita degli agricoltori: in Italia un’attività in perdita

I dati definitivi di Eurostat sui redditi agricoli del 2010 mettono nero su bianco ciò che gli agricoltori italiani sanno molto bene: l’attività è in perdita. Neanche la fiammata dei prezzi che ha interessato i prodotti agricoli è riuscita a riportarne in attivo i bilanci, tanto che rispetto ai redditi di cinque anni prima, il livello del 2010 si è posizionato ben 14 punti percentuali al di sotto di tale soglia. Si dirà: l’aumento dei prezzi ha soprattutto interessato cereali e produzioni zootecniche, mentre olio, vino e frutta – che rappresentano buona parte della produzione agricola italiana – hanno sofferto anche nell’anno passato. Ma allora, come mai Spagna e Francia che, in larga parte producono beni agroalimentari simili ai nostri, hanno incrementato i redditi agricoli, rispettivamente, del +8% e +34%? In realtà ciò che maggiormente distingue le nostre imprese agricole da quelle dei nostri “vicini” sono quei ritardi strutturali che ne riducono, da tempo, la competitività: maggior costo dei fattori produttivi, eccesso di burocrazia, ridotta organizzazione commerciale, senilizzazione dei capi azienda. Un dato su cui riflettere. Nel 1970 le aziende agricole con oltre 100 ettari di superficie erano 22.098. Quarant’anni dopo sono scese a 21.974 e cioè poco più dell’1% di tutte le imprese agricole italiane, contro il 5% della Spagna o il 17% della Francia. Alla faccia della mobilità fondiaria.

 

Bon Bon

La natura a Firenze con Expo Rurale 2011

Da oggi fino a domenica, tre giorni di totale immersione nella natura a Firenze con Expo Rurale 2011. Una superficie di 6 ettari, con molti  spazi coperti tra mostre e dibattiti, attività organizzate, degustazioni  gastronomiche, con la possibilità di fare la spesa direttamente nell’orto, smielare o mungere una vacca. Alle  Cascine, nel più grande parco pubblico della città, un lungo fine settimana dedicato interamente alla ruralità e alle attività legate alla campagna, voluto dalla Regione Toscana.

 

Caffè, parte la sfida tra le capsule

La torinese Vergnano sfida il colosso Nestlé con le sue stesse armi. Lo scorso 8 settembre durante la Vogue Fashion Night sono state presentate le prime capsule per caffè “made in Italy” compatibili con la famosa macchina della Nespresso. Una concorrenza possibile e non sleale in quanto si tratta di due brevetti diversi, spiega la Vergnano. Intanto inizia la sfida per fidelizzare i consumatori. Punteranno sulla qualità?

 

Il Belpaese promuove la tavola biologica

Dal rapporto finale del Sana di Bologna emerge un aumento di interesse da parte del consumatore verso l’impatto che i prodotti agroalimentare hanno sull’ambiente (footprint, CO2, consumo di acqua, ecc). Un trend quello del biologico in continua crescita che ha visto dal 2009 al 2010  un aumento del giro d’affari arrivato a quasi 3 miliardi di euro, con una superficie bio di oltre 1 milione di ettari e un totale di operatori pari a 47.000 unità.