Dopo anni passati a decantare le lodi del liberismo più spinto, delle frontiere aperte a tutto e tutti, delle liberalizzazioni ad ogni costo, l’Europa sembra essere entrata in una fase di ripensamento, se non di vera e propria revisione. A sancirlo in maniera chiara e netta sono state le parole pronunciate domenica 11 marzo nel corso di un comizio elettorale dal presidente francese Nicholas Sarkozy che ha minacciatol’uscita della Francia dal Trattato di Schengen.

 

In tempi rapidi, al massimo un anno, ha detto se non verranno riviste tutte quelle norme sulla circolazione delle persone, sugli accordi commerciali e sugli aiuti alle piccole e medie imprese che in questo momento stanno mettendo a dura prova la tenuta economica del Vecchio Continente.

Un appello insomma ad una sorta di protezionismo del Made in Europeche, o si farà nei prossimi 12 mesi, oppure “lo faremo da soli” ha attaccato appunto Sarkozy. Affermazioni che molti osservatori hanno voluto liquidare come semplici slogan populistici per ridare speranze ad un elettorato conservatore francese che sente come sempre più probabile un cambio della guardia alla guida  del Paese a favore del socialista Hollande.

Vera o presunta che sia questa lettura parziale delle parole di Sarkozy, è un fatto che l’attuale presidente francese ha posto, tra gli altri, un problema molto serio, ossia la tutela dei marchi europei.

Un problema molto sentito in Italia, che rappresenta una delle realtà produttive più penalizzate su questo fronte. “In Europa – spiega a Panorama.it Mauro Rosati, segretario generale della Fondazione Qualivita – stiamo vivendo un paradosso clamoroso.

Abbiamo preso infatti come esempio liberale gli Stati Uniti, mentre questo Paese rappresenta una delle realtà più protezionistiche che ci siano. Washington infatti destina ad esempio alle proprie produzioni alimentari una quantità incredibile di contributi e pone tutta una serie di restrizioni alle importazioni.

Proprio qualche giorno fa mi raccontavano che gli autogrill presenti sulla rete autostradale statunitense devono per legge dare uno spazio ben definito a prodotti locali, altrimenti rischiano il ritiro della licenza”.

A fronte di tutto ciò in Europa è avviata ormai da più di un anno e mezzo la discussione sul cosiddetto “Made in” che dovrebbe ridefinire le regole per i prodotti realmente realizzati sul territorio continentale. “In realtà però – continua Rosati – quello che propone Sarkozy è la riscrittura complessiva dei trattati.

Ad essere messo in discussione è un modello complessivo di Unione, che per anni ha lasciato libertà assoluta alle aziende di delocalizzare e di utilizzare manodopera immigrata a costi bassissimi. E ora, quando forse è troppo tardi, si accorge che deve correre ai ripari”.

E non è un caso ad esempio che il commissario per il Mercato interno Michel Barnier e quello per il commercio Karel De Gucht abbiano deciso di presentare entro marzo una riforma del business degli appalti pubblici che prevede la possibilità di rifiutare le offerte che provengano da Paesi extraeuropei che al loro interno limitino l’accesso alle aziende straniere. Una sorta di reciprocità che molti, Sarkozy in testa, evidentemente chiedono sia applicata in tanti altri campi economici e commerciali.

Tra l’altro è proprio questo problema a limitare in maniera determinate il Made in Italy nel mondo. “Il problema dei nostri marchi – dice Rosati – e in particolare di quelli alimentari che rappresentano il nostro fiore all’occhiello, non è quello della contraffazione, del purtroppo celeberrimo Parmesan. Questa infatti è una conseguenza dell’incapacità delle nostre aziende di rispondere in modo adeguato ad una domanda di nostri prodotti che arriva da tutto il mondo. Un’incapacità – continua Rosati -, dovuta alle dimensioni troppo piccole di molte nostre imprese, alla mancanza di una grande distribuzione come quella francese o americana, ma anche al fatto che spesso vengono poste barriere commerciali ai nostri alimenti, e dunque in molti Paesi per soddisfare la grande domanda, si finisce per falsificare le produzioni”.

Un problema che deve essere affrontato soprattutto a livello politico. “In questo senso però – afferma Rosati – finora i nostri governi sono stati latitanti, così come lo è stata la Commissione Europea. Sarebbe ora di cambiare atteggiamento e di chiedere ad esempio proprio a Stati Uniti e Cina quella reciprocità che vale in senso inverso. La Barilla ha dovuto infatti costruire degli stabilimenti in America per esportare, non mi risulta – conclude Rosati – che da noi ci siano fabbriche della Apple”.

E chissà che allora le parole di Sarkozy non rimangano solo slogan elettorali.