E’ di pochi giorni fa la notizia che la Nestlè dovrà togliere dalle confezioni di una particolare bibita per bambini il claim pubblicitario cha tanto fa discutere in America. Impressa nei pack del prodotto compare infatti una sorta di rassicurante promessa: bere il “Boost Kid Essential”, questo il nome del prodotto, contribuisce a rafforzare le difese immunitarie dei più piccoli. Non ammalarsi significa non saltare più la scuola.
Ad indagare sul caso è intervenuta una commissione speciale che, dopo accurate verifiche, ha emesso il suo verdetto: non ci sono fondamenti scientifici sufficienti per supportare quanto affermato dal claim. Alla luce di ciò la Nestlè ha deciso di togliere lo slogan incriminato, pur continuando a negare ogni errore. La stessa sorte, poche settimane fa, era toccata anche ad un’altra multinazionale: la Kellogg ha infatti dovuto togliere dalle confezioni degli amati “Rice Crispies” il claim che definiva il prodotto un aiuto per prevenire l’influenza.

Credo che casi come questi ci forniscano una prova chiara di quanto sia degenerato il concetto di Qualità. Ebbene si, ultimamente c’è una tendenza ad abusare di questa parola che sempre più spesso viene accostata a meri aspetti procedurali. Perché è questo che le grandi multinazionali comunicano oggi ai consumatori: un prodotto salutare, sano, sicuro è sinonimo di un prodotto di Qualità.
Voglio dire, questi sono i requisiti minimi che devono esserci in fase di produzione ma non possono e non devono essere confusi per Qualità che invece è un qualcosa in più, un fattore che va ad aggiungersi ai puri aspetti procedurali di base.
La Qualità che intendo io rappresenta un mondo legato a tre specifiche dimensioni: il territorio, il fattore umano e la cultura e le tradizioni. E’ questa la sfera di surplus che rende un prodotto davvero speciale… e, non a caso, proprio questi tre fattori costituiscono le coordinate del variegato mondo delle Indicazioni Geografiche.