Roma, 27 ottobre 2010 – Da poco si è concluso il salone del gusto di Torino. Come sempre, Petrini superstar. Il Predellino ha deciso di dare voce ad un esperto del settore alimentare che ha idee diverse (e meno snob) sul modo in cui rilanciare la gestione economica del buon gusto italiano: Mauro Rosati.

Di Alfonso Piscitelli

 

Testo Articolo:

Allo stato attuale è più grave per la nostra economia la contraffazione di borse e vestiti o quella di mozzarelle e formaggi?
Sicuramente la contraffazione alimentare oggi fa più danni, perchè nel mondo della moda l’Italia è riuscita a creare una industria che regge ancora bene la concorrenza internazionale e conserva ancora nel nostro paese il suo quartier generale. Invece la contraffazione dei marchi alimentari ci sottrae prodotti, crea un mercato alternativo al nostro fatto di imitazioni che finiscono col giungere sulla stessa tavola degli italiani.

Ma come è accaduto che ci siamo lasciati sfuggire dalle mani le redini dell’industria alimentare?
Noi avevamo un patrimonio non solo economico, ma culturale e non ci siamo accorti della sua importanza. A differenza di quanto è accaduto nel settore della moda non abbiamo saputo creare dei grandi gruppi capaci di trasformare in profitto e occupazione i prodotti del made in Italy alimentare.

Eppure la buona tavola italiana è rinomata in tutto il mondo…
Ed è proprio questo il paradosso. Nel corso degli anni i valori alimentari italiani hanno acquisito sempre maggiore prestigio. All’estero si è affermato il “bisogno” di mangiare prodotti italiani, ma proprio in quegli anni l’economia italiana ha perso l’occasione di gestire quel bisogno. Così le grandi catene alimentari che diffondono in tutto il mondo il gusto italiano non fanno riferimento a noi e gli Americani ci chiedono: “come si dice da voi pizza?”… Noi Italiani siamo stati più bravi nella promozione che non nella gestione organizzativa e ciò ha favorito l’insorgere di fenomeni di clonazione.

Se ho capito bene, noi Italiani non siamo stati capaci di estendere la qualità del gusto a una cerchia più ampia di fruizione di massa.
Non abbiamo creduto fino in fondo all’idea che l’esigenza della qualità sia un esigenza diffusa.

Viceversa si sono create nicchie un po’ snob come quella dello slow food di Petrini.
Il percorso seguito da Petrini ha la sua indubbia valenza culturale, ma oggi bisogna seguire un’altra strada. Noi dobbiamo confrontarci con i problemi concreti dell’agricoltura e della diffusione concreta dei prodotti italiani, seguendo un progetto che nasca in Italia e porti i suoi frutti in Italia.

Quindi?
Una idea sarebbe quella di lavorare affinchè nelle grandi catene di fast food siano presenti prodotti di qualità italiana.

Fast food di qualità invece di slow food snob. A qualcuno verrà un infarto…
L’alternativa a questo tipo di impostazione sarebbe quella di rassegnarsi al passaggio dei marchi italiani in mano straniera e a una ulteriore impoverimento del settore alimentare italiano, per nulla compensato dal sussistere di piccole isole in cui il buon gusto si paga a caro prezzo.