Ci sono due temi importanti che attanagliano il settore agroalimentare italiano e che costituiscono uno snodo fondamentale per la gestione del Paese in questo momento di crisi dovuto al Covid-19. Il primo riguarda il coordinamento degli approvvigionamenti alimentari e la loro distribuzione sul territorio, mentre il secondo interessa la tenuta di diverse centinaia di migliaia di piccole e medie imprese agricole che rappresentano l’ossatura portante dell’economia italiana.

Rispetto al primo punto, la lettura di dati che indicano una sostanziale parità fra prodotti agricoli importati ed esportati potrebbe trarre in inganno e non destare troppa preoccupazione sul tema della nostra consistenza alimentare. Occorre essere molto chiari: l’Italia non è un Paese autosufficiente dal punto di vista del cibo, anche se è un grande esportatore. È forte infatti la dipendenza da nazioni straniere per molti beni di prima necessità: importiamo quasi 5 miliardi di euro di cereali, 6,5 miliardi fra animali e carni, 6 miliardi di prodotti ittici, 3,3 miliardi di oli e quasi un miliardo di latte. Su cosa succederà nei tanti Paesi nostri fornitori è ancora presto dirlo, ma sicuramente in un periodo in cui produrre diventa difficile non possiamo prevedere se i mercati saranno in grado di far fronte alle richieste e soprattutto non sappiamo se i governi dei Paesi esportatori adotteranno o meno politiche restrittive.

Su questo tema occorre vigilare ed avere una gestione oculata come quella che si sta mettendo in campo sul versante sanitario. La proposta di nominare un commissario ad hoc che si faccia carico anche delle altre problematiche che stanno emergendo come la logistica e la carenza di manodopera potrebbe essere anche una soluzione. Ad ogni modo sarà fondamentale la capacità di vedere lungo e magari pensare già da oggi a come organizzarci per prevenire la prossima crisi, ad esempio predisponendo magazzini di stoccaggio e quant’altro sia necessario.

Il secondo aspetto dirimente che riguarda il settore è la capacità di tenuta delle tantissime aziende di produzione che hanno fatto della qualità la loro missione riuscendo negli anni a conquistare il mondo con i loro vini pregiati, formaggi, salumi scegliendo un posizionamento premium nella strategia commerciale. In soldoni, aziende che hanno come loro canale principale di sbocco la ristorazione, sia in Italia che all’estero, e che oggi vedono azzerate le loro vendite senza neanche un barlume di speranza nel breve e medio periodo. Le grandi annate dei vini italiani ricercate nei ristoranti stellati di tutto il mondo, per dire, dovranno restare in cantina ancora per un po’. Ma se il vino può permettersi di attendere qualche mese, sicuramente per prodotti come la Mozzarella di Bufala Campana DOP, fulcro delle pizzerie di tutto il mondo, la situazione si fa subito più urgente.

Si parla di micro imprese, se confrontate alle grandi aziende del settore, con una capacità finanziaria limitata e quindi bisognose di moneta a breve per non fallire. Se questo succedesse sarebbe anche la fine del sogno italiano che negli ultimi venti anni è stato il vero protagonista dei mercati enogastronomici mondiali, con oltre 40 miliardi di esportazione e un indotto di turismo difficilmente quantificabile. Dobbiamo agire, ci vuole molta creatività e anche una strategia. Su questo un grande aiuto potrebbe arrivare anche dalle piattaforme digitali con un approccio che eviti la cannibalizzazione delle imprese. Anche perché sarà difficile pensare nell’immediato ai grandi eventi per il rilancio del settore (VinitalyCibusTuttofood), viste le criticità sanitarie che bloccano del tutto certe iniziative.

Un’arma in più il nostro sistema agricolo ce l’ha, ed è lo spirito mutualistico che caratterizza le nostre filiere agroalimentari con produttori e aziende coordinate da cooperative e  Consorzi di tutela. È questo modello di organizzazione e di cooperazione, intrinseco nel nostro tessuto produttivo, il fattore che può, più di ogni altro, permetterci di resistere e rilanciare il nostro sistema.01