Una settimana fa il ministro per l’agricoltura Mario Catania, col presidente della commissione agricoltura del parlamento europeo Paolo De Castro, ha presentato il Pacchetto qualità che l’Italia sta imponendo in Europa. Si riafferma il primato di DOP e IGP, l’obbligo di etichettatura d’origine con indicazione degli ingredienti, per valorizzare la (nostra) agricoltura di specialità. È cosa buonissima e giusta. Ma le dichiarazioni, ahinoi, sono fatte apposta per essere smentite. Così è successo che hanno arrestato Giuseppe Mandara, il «re» delle mozzarelle di bufala, con l’accusa di essere un camorrista. E ci si è accorti – toh guarda? – che le agromafle girano un fatturato da 15 miliardi di euro! Un altro «re» stavolta dei prosciutti finisce in un’inchiesta perché i maiali con i quali si sono fatte cosce marchiate Parma, San Daniele e Modena sono alimentati con gli scarti che dovevano finire nei rifiuti e sono finiti nelle mangiatoie. Tra Toscana, Umbria e Lazio hanno beccato i furbetti dell’extravergine intenti a taroccare l’olio e farlo passare per I)op quando era robaccia. Sui prosciutti è bene fare un inciso: da che inondo e inondo i maiali sono la pattumiera della campagna e non è che faccia viale alla salute ingrassarli con scarti dei caseifici o rifilature di lavorazioni di salumificio (a parte il cannibalismo suino che può farci rabbrividire). Ma i disciplinari delle DOP sono chiarissimi: i maiali devono essere alimentati solo da mangimi selezionati. E anche le bufale con la coppola magari erano buonissime, solo che dove c’è criminalità non c’è garanzia. Ma a parte gli scoop di un’ informazione che si accorge dell’agroalimentare solo quando irrompe la cronaca e che comunque dimostrano che grazie ai Nas i controlli in Italia funzionano davvero, c’è da chiedersi che succede. Accade che i consumatori non hanno soldi in tasca perché il Fisco e “inflazione si sono mangiati quasi tutto il reddito e sul mercato c’è più spazio per i falsi e per un dumping qualitativo che spazza viale regole della qualità. Il rischio è enorme: il made in Itaiy dell’agroalimentare ha una reputazione da difendere e se salta il sistema delle garanzie il danno economico è gigantesco. Per fortuna Assolatte ci informa che l’export dei nostri formaggi va benissimo (non se ne sono accorti però né gli allevatori né i pastori che vedono il prezzo del latte in caduta libera e la nostra zootecnia è ai minimi storici di redditività) e Federalimentare, salutando la rinascita dell’Ice che dovrebbe dare una mano all’export, dice che è pronta a rinforzare la filiere di qualità. Ma il punto è un altro. Stante la crisi il sistema delle DOP torna a incardinarsi solo su quattro o cinque consorzi che hanno i maggiori fatturati e si trincera nella difesa delle prerogative burocratiche facendo nascere il cosiddetto «partito dei direttori» che poco ha a che spartire con le difficoltà delle aziende che hanno mnori sbocchi di mercato, più difficoltà a vendere e possono essere tentate di abbassare la guardia proprio sulle garanzie. La liquidazione di Buonitalia, la poca sinergia di settore statino producendo un’erosione di centralità delle Dop e gli artigiani del gusto, i piccoli distretti dell’alimentare di qualità soffrono sotto i colpi della crisi. Per alcune realtà territoriali significa la morte delle economie locali. Se questo è il quadro è forse venuto il tempo di riorganizzare il sistema delle DOP e delle IGP facendone una piattaforma nazionale. Per garantire i produttori e i consumatori uniti nella difesa della vera qualità italiana. Contro le agromafie e i furbetti del marchio che sfruttano un mercato da tempi di guerra dove il falso fa premio sul garantito. Ci pensi il ministro e si chieda se non c’è bisogno di un organismo che dia il giusto valore, la comunicazione del valore, di tutte le DOP.