Tra il 7 e il 10 maggio si terranno in Italia due importanti manifestazioni internazionali dedicate al cibo: Seeds&Chips a Milano e Cibus a Parma. Una concomitanza che rinnova il duello fra le due città per la supremazia di polo leader italiano sul tema del food. In apparenza potrebbe sembrare una follia la sovrapposizione temporale degli eventi, ma in realtà essi rappresentano due facce del mondo alimentare contigue e non sovrapposte; Cibus offre una fotografia della produzione qualitativa del food italiano, Seeds&Chips racconta il cibo e l’industria del domani. La vera follia semmai è che le due manifestazioni, pur avendo logiche di network importanti, non dialoghino tra loro; ed è questa l’Italia che non ci piace.

L’imminenza dei due eventi e la ricorrenza dell’anno del cibo italiano impongono una seria riflessione su cosa sia realmente oggi la cultura del food in Italia. C’è bisogno di “aggiornare la scienza”, ma soprattutto la letteratura enogastronomica ed agricola, continua a ripetere Attilio Scienza, uno dei più grandi ricercatori mondiali in campo vitivinicolo. Un appello che non possiamo lasciar cadere nel vuoto.

Un’ampia parte della cultura italiana legata al cibo è fortemente vincolata a stereotipi ormai datati, che con il tempo hanno generato una fotografia artefatta del nostro sistema produttivo primario e di tutto il mondo che lo circonda.

Negli ultimi quaranta anni – con la nascita di Slow Food ed il contributo del marketing di settore – si è sempre cercato di privilegiare gli aspetti folcloristici e tradizionalistici del cibo, legati a un concetto di ruralità spesso troppo antiquato. Una cultura che negli anni non siamo riusciti mai a trasformare; forse perché l’idea della famiglia del Mulino Bianco ha ancora un effetto rassicurante sul lato sociale, ma dal punto di vista della cultura alimentare è quanto di più superato possa esistere.

Non è un caso i concetti “rurali” oggi più di moda inizino pian piano a scricchiolare; l’utopistico KM zero è stato messo in discussione già da molti, come il giovane chef stellato Matteo Metullio del Ristorante Siriola che ha coniato lo slogan Km Vero perché “il chilometro zero non è sempre sinonimo di qualità e la prossimità geografica non garantisce da sola l’eccellenza.”

Pertanto, emerge l’esigenza di dover aggiornare e reindirizzare la letteratura del cibo al cibo stesso, per valorizzare i veri punti di forza che le nuove imprese agricole ed alimentari italiane hanno saputo potenziare attraverso innovazioni di processo e ricerca e divulgare ai consumatori messaggi più aderenti alla realtà.

L’innovazione ha senz’altro costituito l’energia generatrice di qualità dei prodotti, la ricerca ne ha rappresentato il motore di sviluppo e di continua evoluzione: il loro contributo è stato determinante, sia per arrivare a produrre alimenti qualitativamente superiori alla media, sia per farli competere sui mercati.

Ed ecco che di fronte al “new deal” del food che ogni anno irrompe in Italia con Seeds&Chips, l’imperativo è quello di iniziare a ragionare seriamente su come questo Paese possa rappresentare ancora per il futuro un’avanguardia del cibo.

La rivoluzione in atto nel mondo alimentare attraverso la ricerca e il digitale sta inesorabilmente cambiando gli scenari. Dobbiamo riflettere e capire tutti insieme quali valori culturali vogliamo preservare, quali invece vogliamo innovare. Un confronto che riguarda consumatori, scuole, imprese ed istituzioni.

Urge un serio aggiornamento per elaborare il nuovo manifesto italiano della cultura del cibo.